Peaky Blinders (prima stagione): la recensione

Il gangster drama di Steven Knight con Cillian Murphy e Sam Neill è un prodotto di alto livello

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Peaky Blinders è un period drama di altissimo livello, una specie di Boardwalk Empire britannico (per quanto il creatore Steven Knight abbia affermato di non aver mai visto la serie di Scorsese), tutto criminalità e affari tra delinquenti che spesso sfociano nel sangue versato. La miniserie in sei puntate è stata trasmessa dalla BBC lo scorso settembre, ed è già stata rinnovata per una seconda stagione. Il nome deriva da quello della gang criminale protagonista dello show, realmente esistita e operante, anche se probabilmente in un arco temporale precedente a quello in cui è ambientata la serie. Siamo nel 1919, ancora le ceneri della Prima Guerra Mondiale non si sono completamente spente e contribuiscono ad agitare gli animi e a determinare psicologie ed eventi nella storia, ambientata a Birmingham.

La lotta tra gang coincide, o quasi, con lotta tra famiglie. Il nucleo protagonista è quello degli Shelby, comandato da Tommy (Cillian Murphy), che improvvisamente si trova tra il fuoco delle bande rivali e quello della polizia, guidata da C. I. Campbell (Sam Neill), agente nuovo in città e determinato a ripulire le strade. Collegamento tra i due è l'agente sotto copertura Grace Burness (Annabelle Wallis), che immancabilmente dopo aver stabilito un contatto con Tommy se ne invaghirà, ricambiata, mettendo a repentaglio la riuscita della missione. Da segnalare nel cast anche la presenza di Helen McCrory, nella vita reale moglie di Damian Lewis.

Ciò che salta immediatamente all'occhio, fin dalla prima sequenza nella quale Tommy a cavallo si reca in un certo luogo, è la grande cura tecnica di cui il prodotto è rivestito. L'intreccio è adeguato allo scarso numero di puntate: lineare, con pochi personaggi, immediato e non troppo originale. Ma la cura nella regia, fotografia, sceneggiatura di cui ogni scena è pervasa rendono lo show una perla con una sua individualità in grado di farla spiccare tra i tanti prodotti simili. Lo stesso non avevamo potuto dire di Mob City di Frank Darabont.

La regia di Otto Bathurst e Tom Harper è dinamica, ben costruita, spesso armonizzata con le musiche anacronistiche scelte per sottolineare un montaggio particolarmente significativo. Tra i tanti artisti scelti per la ricca e bellissima soundtrack citiamo soprattutto gli onnipresenti Nick Cave, White Stripes e Tom Waits. Funziona benissimo il cast: un nucleo di attori più o meno noti in grado di donare carisma a personaggi tutto sommato già visti (quanti poliziotti arrivati per ripulire la città abbiamo visto? Quanti gangster romantici e sofferenti? Quanti agenti sotto copertura tentati dal fascino del male?). Una fotografia d'epoca, svolte tipiche e personaggi caratteristici del genere potrebbero portarci a liquidare Peaky Blinders come l'ennesima variazione sul tema gangster. In parte ciò è vero, ma la serie di Steven Knight ha anche dimostrato, con una cura davvero ammirevole, di volersi distaccare dalla media confezionando un prodotto con una propria individualità. E riuscendo nel proprio intento.

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