PAW Patrol - Il super film, la recensione

Come già la serie animata faceva il secondo superfilm di Paw Patrol ribadisce la sottile allegoria militaresca del cartone

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di PAW Patrol - Il super film, dal 28 settembre in sala

Se c’è una serie animata per bambini, oggi, che trasuda militarismo e adorazione per il genere di culto dell’ordine costituito e della soluzione dei problemi attraverso l’applicazione di forza e metodo espressi dall’esercito americano, questa è Paw Patrol. Gli eroi dei fumetti, dei cartoni e del cinema americano storicamente sono quasi sempre stati dalla parte della legge (almeno fino ai primi anni 2000) ma quella di Paw Patrol è un’altra storia. Il secondo film tratto dalla serie televisiva (che incorpora elementi della linea di trama Mighty Pups) è l’espressione più compiuta della mentalità più tradizionale americana, quella per la quale tecnica e ideologia formano una superiorità che è sia morale che effettiva (che, in un certo senso perverso, umana). 

La storia è quella che vede una cattiva rubare un magnete gigante dallo sfasciacarrozze per attirare un meteorite che altrimenti passerebbe accanto alla Terra senza conseguenze, con il fine di rubare quel che porta. In realtà il meteorite è intercettato dalla Paw Patrol (perché nell’atterrare gli distrugge il quartier generale) e loro così scoprono per primi i cristalli che forniscono dei poteri. Una di loro, la più piccola, in particolare ne uscirà così potenziata da superare atavici complessi d’inferiorità. La cattiva però si impadronirà di nuovo dei cristalli e sarà necessario il gioco di squadra perché il bene torni a trionfare.

La Paw Patrol vive e si comporta come un corpo armato, sono una forza di terra, mare e acqua in cui dei cuccioli di cane di varie razze dormono in camerate, mangiano e si allenano insieme, e poi agli ordini di un umano agiscono con precisione chirurgica per salvare le persone. Serve and protect. Tutto quello che dicono gira sempre intorno ai concetti di onore, coraggio e spirito di squadra. Quello che questo film nello specifico si propone di raccontare poi è proprio l’applicazione di questi principi, grazie ai quali anche la più piccola può dimostrare che il coraggio non dipende dalla grandezza e ognuno può fare la sua parte (più una lunga serie di “quasi slogan” da America degli anni ‘50). Sono cani quelli della Paw Patrol ma dal character design l’impressione è che se fossero umani non ci sarebbe un taglio di capelli fuori posto, non ci sarebbe un soldato in disordine, a caratterizzarli è la dirittura e la capacità di risolvere e nel caso improvvisare, come i marines. 

Sono i cattivi semmai è essere sempre l’emblema dei nemici dell’esercito e delle forze armate. Questa volta è una ragazza afroamericana dagli abiti underground, i capelli verdi e l’atteggiamento da outsider, storicamente invece la loro nemesi (che qui fa una comparsata) è il sindaco della città, esponente di quelli che “scaldano una sedia” contrapposti a chi opera sul campo e si sporca le mani. Per la Paw Patrol non c’è problema che non si possa risolvere con l’ardore e il coraggio (anche in un flashback la piccola cucciola affronta una tempesta di neve senza un vero senso e la cosa è ricompensata da un salvataggio e da un’adozione), non c’è smidollato che non possa essere convertito in anello funzionante di una catena da un duro addestramento, non c’è azione o scontro che non possa essere risolto dall’uso combinato della gerarchia (proprio nella forma di ordini precisi da eseguire per raggiungere il risultato) e dai mezzi. Auto, moto, aerei e quant’altro sono così fondamentali per i personaggi che ora che hanno i poteri questi portano a mezzi nuovi a cui trasferire i poteri stessi (!). In un transfer perfetto con l’esercito americano, la superiorità tecnica e tecnologica è il cuore della superiorità morale, umana e canina.

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