Parthenope, la recensione | Cannes 77
Uno dei film più personali di Sorrentino, Parthenope non è dei migliori eppure contiene forse l'immagine cruciale di tutta la sua filmografia
La recensione di Parthenope, il nuovo film di Paolo Sorrentino presentato in concorso a Cannes
Del resto la ricerca di qualcosa spinge molti protagonisti di Sorrentino (siano Jep Gambardella, Berlusconi o Titta Di Girolamo), qualcosa che loro stessi non sanno esattamente cosa sia ma che sentono mancargli per potersi dire felici in senso pieno. Per Parthenope è una strana sete di comprensione degli esseri umani che la spinge a conoscere, il mistero sembra prima lei, questa ragazza bella di una bellezza incredibile che non è chiaro cosa voglia, poi si capisce che lei è solo un mezzo per girare Napoli come Jep girava Roma. Solo che questa città non è la rappresentazione del paesaggio interiore del personaggio, ma la massima espressione di tutto ciò che di bello, brutto e insondabile c’è negli esseri umani. Ci sarà un professore di antropologia, uno scrittore inglese, un cardinale, un bambino gigante e poi fidanzati, parenti e familiari in un film così pieno di domande e risposte a sentenza, nello stile sorrentiniano, che stavolta è necessario che qualcuno lo riconosca anche all’interno del film.
Lì tutto è perfetto (e solo quel cardinale così sincretico della promiscuità tra alto e basso di Napoli poteva crearlo), c’è la bellezza di eccezionale caratura di Celeste Della Porta (che tutto il film espone) vestita soltanto di quel barocco folkloristico che si mescola alle forme del suo corpo nudo, trovando una sintesi che parla di un concetto diverso di sacro, che non ha niente a che fare con il religioso (anche se ruba quell’iconografia). È il sacro di Maradona, il sacro passionale e pagano, una trascendenza che brama passione e vorrebbe trasformarla in astrazione. È il sacro di quel cardinale, un animale sessuale brutto ma attraente al tempo stesso. Lì, in un sorrentinismo all’ennesima potenza, finalmente una città e una cultura riescono a essere sintetizzate in un’immagine sola che contiene tutto (l’ambizione di qualsiasi opera di questo tipo). Ci vuole un film intero per arrivarci, e ci vuole che finalmente Parthenope ritrovi i classici dell’immaginario sorrentiniano, ma quella, forse, è l’immagine che sintetizza anche una carriera intera e un’estetica che Sorrentino ha fondato e che raggiunge il vertice artistico del cinema attraverso rappresentando le espressioni più grezze e volgari con impareggiabile sofisticazione.