Una parte di te, la recensione
Storia sull'elaborazione di un lutto che non cade nella facile commozione, Una parte di te esprime con efficacia l'interiorità fragile della sua giovane protagonista
La nostra recensione di Una parte di te, disponibile su Netflix
L'impostazione del film d'esordio di Sigge Eklund è chiara fin dall'inizio: macchina da presa stretta intorno alla protagonista, primi e primissimi piani, soggettive e oggettive. Un modo per esprimere la sua fragilità interiore, il suo distacco dal resto del mondo, soprattutto dalla sorella che vede come un modello e che poi cercherà di imitare. Lo scavo dell'interiorità femminile è il fulcro del film, che per metterlo in scena si appoggia su una flebile narrazione. Siamo insomma in una sorta di versione pop del cinema di Josephine Decker (da Madeline's Madeline ritorna in particolare il rapporto tra finzione teatrale e proprio vissuto, qui però più un escamotage che un perno della storia). La fotografia ipersatura e un certo citazionismo fine a se stesso sono il debito da scontare per essere una produzione Netflix, ma per il resto Una parte di te riesce a trovare uno spazio d'espressione.
Per poter reggere fino alla fine, un film fatto di silenzi e di sguardi persi nel vuoto ha infatti bisogno di una forza espressiva e di una radicalità che Eklund (ancora) non possiede. Inevitabile allora che la sua opera a un certo punto mostri i propri limiti e si lasci andare a pianti, ad abbracci, a consolazioni. Rimane però un punto a favore come uno scioglimento vitalistico e speranzoso sia stato preferito a uno cupo e ricattatorio.