Les Olympiades - Paris 13th, la recensione | Cannes 74

In una città che è tutte le città, Paris 13th, ambienta storie di sesso che cerca di diventare sentimento e trova il racconto del presente

Critico e giornalista cinematografico


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Paris 13th, la recensione | Cannes74

Impossibile non sentire una vibrazione da cinema di Hong Kong degli anni ‘90, e in particolare degli echi di Wong Kar-Wai e Christopher Doyle in questo gentilissimo bianco e nero e nelle storie di amori solitari in una grande città che animano Paris 13th. Impossibile non sentire in questi personaggi che vivono in luoghi affollati senza che tutta questa gente costituisca una vera comunità, quel tipo di ricerca di un contatto umano nella notte, e di preparazione di qualcosa di romantico durante le giornate di lavoro. Esseri umani da appartamento, che lo condividono o in cui vivono da soli, e che lì cercano di tornare insieme a qualcuno o elaborano la fine di una storia o ancora cercano di farne partire un’altra.

Dietro tutto questo c’è un trio eccezionale. Adrian Tomine (autore della serie di storie a fumetti Killing and Dying da cui tutto è tratto), Céline Sciamma (sceneggiatrice) e Jacques Audiard (sceneggiatore e regista).
Senza nemmeno l’ombra del crimine o della violenza in Paris 13th Audiard fa lo stesso lavoro che anni fa aveva fatto con Rapsodia per un killer (quando fece un remake completamente diverso trasformandolo in Tutti i battiti del mio cuore) e prende un testo per tradirlo. Trasforma storie americane in francesi, marginalizza quella più importante ed esalta i personaggi minori, ne prende la visione del presente e ne esalta amarezza ed umanità. Ancora una volta è riuscito a farsi riempire la testa da un racconto e poi andare altrove tenendo in bocca quel sapore.

In queste 3 storie di sesso che cerca in qualche maniera di diventare amore con una quieta e controllata disperazione, Audiard dimostra una bravura e una misura commoventi nel riprendere l’atto sessuale. Così carnale e autentico ma al tempo stesso così sentimentale. È il melange che chiunque filmi un amplesso vorrebbe raggiungere, in realtà finendo (quando va bene) ad essere o davvero eccitato oppure a far passare dai movimenti, dalla recitazione del corpo e dello sguardo il farsi strada di un sentimento. Mai tutti e due insieme. Audiard invece ci riesce. Fa eccitare personaggi a cui vuole un bene incredibile.

Con il sesso al centro di tutte le relazioni ha il tempo di esplorare il resto, cioè il desiderio di avere qualcosa di più e la frustrazione del vederselo negato. Ma non si ferma qui. Una volta che ha trovato come raccontarli riesce anche a metterli sullo sfondo e usarli per leggere il tempo presente, le relazioni, la realizzazione personale e l’alienazione da città di una serie di persone che non sono nate a Parigi ma ci sono finite. In un certo senso la storia di chiunque in questi decenni abbia vissuto e cercato di essere felice in una grande città.

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