Paranoid Boyd 0 - 5, la recensione

Abbiamo recensito per voi Paranoid Boyd, opera scritta da Andrea Cavaletto e pubblicata da Edizioni Inkiostro

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Il mese scorso è arrivato in fumetteria il quinto numero di Paranoid Boyd, serie creata da Andrea Cavaletto, un nome ben noto al pubblico di Dylan Dog. Ne abbiamo approfittato per recensire l'intera opera targata Edizioni Inkiostro.

Giorni penitenziari, l'ultimo capitolo, è essenziale per comprendere una vicenda squisitamente complicata e introdotta nel numero zero, Dioscuri: sei pagine disegnate da Simone Delladio che ci mostrano William Boyd, promettente pittore, appena prima del tracollo della sua esistenza, innescato dalla tragedia dell'11 settembre 2001.

È proprio con un flashback incentrato sull'infanzia del protagonista che si apre il primo albo, Sulle scogliere della rovina, composto da due capitoli illustrati rispettivamente da Renato Riccio e Francesco Biagini. Dopo gli attacchi terroristici, Will è diventato una persona mentalmente instabile, assuefatta all'alcol e agli stupefacenti. I motivi di questo degrado psichico, accompagnato da frequentazioni tutt'altro che raccomandabili, dipendono da un altro profondo e incolmabile dolore, catturato nella sua ferocia dagli sbalzi psichedelici di Biagini.

La voragine di disperazione e di follia si spalanca nella seconda uscita, Il lupo sulla soglia, ancora suddivisa in due parti, affidate alle matite di Matteo Pirocco ed Enrico Carnevale. Il protagonista viene invischiato tramite un misterioso bambino nei loschi traffici di una setta religiosa, poi in quelli di una satanica. Occorre munirsi di buoni stomaci per affrontare le immagini offerte da Carnevale, dotate di una straordinaria espressività allucinata.

Con il terzo appuntamento, Il cavaliere triste, viene raddoppia la foliazione (da 32 a 64 pagine) e sono ben quattro gli artisti all'opera su altrettanti episodi: i ritorni di Delladio e Riccio, il contributo del patron di Inkiostro - Rossano Piccioni - e quello di Studio Creative Comics, articolato nei lapis di Emmanuele Baccinelli e nelle chine di Gianluca Spampinato, per la supervisione di Daniele Statella. È un team creativo particolarmente nutrito ma necessario per il corposo spillato, scandito da una tetrade di avventure caratterizzate da un'azione martellante e da una grafica particolarmente suggestiva grazie al mosaico di stilemi diversi. Il lettore viene sprofondato dalla storia nel cuore più buio, occulto, e poi fatto rinsavire a schiaffi dalle scioccanti scene finali.

Ne Il corpo del mostro, ancora di Carnevale e Marta Carotenuto, veniamo nuovamente rituffati nel passato e nell'orrore più inimmaginabile esploso al World Trade Center e in seguito ci vengono presentati nel dettaglio gli amici di Boyd, in particolare i loro lati più oscuri.

Giorni penitenziari impone un drastico cambio di rotta all'intreccio e segna il culmine estetico della saga, a partire dalla splendida copertina di Leonardo Colapietro. Fanno la differenza un Delladio in splendida forma, uno stupefacente Fabio Baldolini, Francesco Gallo - messosi in mostra anche su Maxi Dampyr 6 - e Stefania Caretta, che per la pulizia e l'intensità del tratto non sarebbe male vedere all'opera su una collana Bonelli.

È questo e molto altro ancora Paranoid Boyd, un prodotto per adulti crudo e intenso, senza veli né censure. Spostandoli su un'imprevedibile prospettiva affronta temi scabrosi come la droga, la prostituzione e il fanatismo religioso, senza pregiudizi o artifici.

Will non è un eroe, non è neppure un antieroe: è un farabutto, o forse solo un povero diavolo, ma per quanto deprecabili siano i suoi atti, viene difficile disprezzarlo. Non riusciamo a condannarlo definitivamente perché in lui riscontriamo qualcosa che ci appartiene, che appartiene alla natura umana in condizioni estreme; ce l'ha insegnato Robert Kirkman con i personaggi di The Walking Dead. Andrea Cavaletto compie un processo analogo a quello del collega americano e al contesto post-apocalittico sostituisce una condizione interiore estrema, quasi quanto un'epidemia zombie. Attraverso il suo soggetto paranoico, giocato con onestà professionale tra verità e bugia, per mezzo del realismo distopico delle sue sceneggiature e della qualità delle tavole realizzate dai vari autori, ci comunica e rovescia contro, le nostre angosce, le nostre paure e le nostre bassezze.

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