Paradiso Amaro, la recensione - Articolo del 29 gennaio 2012 - 26563

Hawaii ventose e grigie, Clooney che non riesce a scattare, mogli comatose adultere e suoceri antipatici che hanno ragione. Torna il cinema complesso e divertente di Alexander Payne...

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In viaggio amaro con l'amato Alexander. Ancora una volta.

Eravamo stati con lui, nel 1999, in un liceo in cui Matthew Broderick e Reese Witherspoon erano parimenti grassocci e insopportabili. Lui maestro perdeva clamorosamente la sfida sociale ed esistenziale con lei allieva finendo per tirarle addosso un bicchierone di soda dopo averla vista sfilare in limousine nel team presidenziale a Washington. Sono soddisfazioni, eh? Quel piccolo uomo ridicolo era il protagonista del film.

Nel 2003 eravamo stati con Payne accanto a un Warren Schmidt con la faccia di Jack Nicholson. Avevamo capito il suo disorientamento di fronte alla pensione, apprezzato l’amore per la figlia, stimato l’adozione a distanza di un bambino africano, sostenuto quando lo sentivamo lamentarsi della moglie e ghignato, lo ammettiamo, quando avevamo visto crepare la sgradevole consorte in modo ridicolo a inizio film. Avevamo pensato che Warren da quel momento in poi fosse libero e che meritasse di più. Ci eravamo messi in viaggio con lui. Ci eravamo illusi. Andammo a trovare sua figlia che stava per sposarsi per scoprire, miglio dopo miglio e minuto dopo minuto, quanto Warren fosse meschino, vigliacco e accidioso. Quel grande uomo ridicolo, cornificato dalla moglie che avevamo disprezzato, era il protagonista del film.

Infine, avevamo seguito nel 2006 l'eterno aspirante romanziere Miles (Paul Giamatti) e il suo amico attore scemo Jack su e giù per le colline del vino californiane in cerca di rimorchio e piccoli surrogati di gratificazioni. Mamma mia quanto erano ridicoli, vigliacchi e bambocci pure quei due protagonisti indiscussi della pellicola. Li salvavano simpatia e un briciolo di autoconsapevolezza. Uno dei due avrebbe avuto addirittura le palle di suonare in extremis al campanello dell'amore: “Ehilà? C'è qualcuno?”. Che coraggio.

Ora Alexander Payne ci porta alle Hawaii ma subito mette in chiaro le cose: colori autunnali, se non invernali, traffico, povertà, gente in carrozzina, sgradevolezza in ciabatte, la moglie del protagonista in coma, sgraziata e bavosa su un letto gelido d'ospedale dimesso. Paradiso? “Paradiso, un ca**o” come ci dice subito il protagonista interpretato da un George Clooney col capello fuori posto, i piedi a papera che gli impediscono di correre in modo decente e un'aria da “cagnone” (©Francesco Castelnuovo) bastonato.

Il marito con la moglie in coma dovrà: 1) occuparsi delle ultime volontà della moglie in coma interagendo con due figlie poco filate prima e un suocero veramente bastardo che però ha ragione a rimproverarlo (la grandezza di Payne) 2) vendere un terreno di famiglia in riva al mare che potrebbe far lui e tutti i suoi parenti scalcagnati (“Alle Hawaii i veri pezzi grossi si vestono come barboni”), più ricchi di quanto già lo siano. Un altro viaggio acre in compagnia di un protagonista di Payne? Ahiahi. Scopriremo quante verità nascoste verranno rivelate a questo nuovo uomo senza qualità (come accadeva a Warren Schmidt), quanto la sua accidiosa sicurezza di sé l'abbia trasformato in un essere meschino e perdente (come in Election) ma come l'invasione delle novità nella sua vita, rappresentate da esseri umani più sorprendenti di alieni (come in Sideways), possa produrre cambiamenti in positivo.

 

Paradiso amaro è un film di Alexander Payne ed è un ottimo film di Alexander Payne. Il colpo di scena è sempre dietro l'angolo, i personaggi possono essere contemporaneamente bastardi, perbene o addirittura eroici e attraverso una narrazione pacata in campo spesso largo e ripreso a distanza (Payne ama immergere i suoi personaggi nello sfondo riprendendoli da lontano come fosse un documentarista), il regista di origini greche sviluppa una storia accattivante di dolore, meschinità, rivelazioni e redenzioni. E' questa la caratteristica dei suoi due ultimi film androcentrici rispetto al dittico iniziale Election e A proposito di Schmidt: meno acri, più ottimisti nei confronti dei maschi protagonisti. Il molto divertente La storia di Ruth – Donna americana, avendo una donna per protagonista assoluta, sembra quasi appartenere a un'altra filmografia per Payne.

Torniamo a Paradiso amaro. Due scene madri semplicemente eccezionali e pilastro della struttura narrativa dell'opera: il colloquio notturno tra il padre e il fidanzato della figlia grande; l'incontro in ospedale tra Clooney e la moglie di un personaggio molto importante legato alla consorte del protagonista in coma. Soprattutto quest'ultimo momento permette l'innesco del monologo finale di Clooney che potrebbe concorrere a fargli vincere il primo Oscar da Attore Protagonista. Quell'incontro in ospedale andrebbe studiato attentamente da ogni aspirante sceneggiatore.

Infine, ho adorato rivedere Matthew Lillard, che ricordavo come l'eterno ragazzone rumoroso scalmanato di Fuori di cresta, Scream e Scooby-Doo, in un ruolo invecchiato e piccolo-borghese. Una delle tante qualità di Payne è lavorare sul casting con guizzi rinfrescanti e mai stucchevolmente metacinematografici come quando resuscitò la carriera di Matthew Broderick giocando sulla sua icona di giovane mito liceale anni '80 (War Games, Una pazza giornata di vacanza) contrapponendogli la Witherspoon paffuta di fine anni '90.

 
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