Paradise Beach - Dentro l'Incubo, la recensione
Lo squalo, il sangue e la sopravvivenza, Paradise Beach centra tutto in meno di 90' grazie a Jaume Collet-Serra, uno dei migliori registi di B movie moderni
Senza la pretesa di inventare assolutamente niente, questo film mette una donna in pericolo e svestita su uno scoglio come fosse una sirena ferita (alle gambe peraltro), e la fa braccare dal mostro marino per eccellenza, lo squalo. In un film del genere davvero non contano i dettagli, cioè come la protagonista sia arrivata dove sta, che lavoro faccia o anche chi la potrebbe aiutare e non lo fa, conta solo il desiderio di sopravvivere, la fermezza nel combattere e il senso di purificazione che si trae da un confronto imprevisto, inatteso e inadeguato con il mondo animale.
Paradise Beach centra la caratteristica fondante del suo genereL’uomo di città, intellettualmente evoluto, civile e acculturato può sopravvivere proprio grazie a queste caratteristiche in contesti che sembrano richiedere il suo lato più animale?
Facendo sfoggio di uno squalo in computer grafica non perfetto ma utilizzato senza remore come accade nei film Asylum, Paradise Beach risponde all’appello di ogni regola non scritta del suo genere e lo fa con l’abilità che serve in questi casi, quella che impone di raccontare sempre la stessa storia ma con una retorica convincente. Quanto tempo passa prima del primo attacco? Quanto verrà ferita la protagonista prima di reagire? Come fermerà il sangue? Quanto sarà tangibile il suo dolore? E alla fine, quando il confronto si fa immenso e necessario, quando il tempo stringe e la sete d’omicidio dello squalo si fa inarrestabile, quanto sarà epico lo showdown? Jaume Collet-Serra e Anthony Jaswinski rispondono bene a tutte le domande in meno dei 90 canonici minuti.