Paradise, la recensione

Paradise è un thriller scifi come raramente se ne vedono: ben messo in scena, scritto magnificamente e diretto con l’intelligenza di chi sa che deve portare a casa un ottimo film pop

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La recensione di Paradise, disponibile su Netflix dal 27 luglio

In un futuro distopico ma per nulla lontano da noi, un’azienda tedesca chiamata Aeon ha sviluppato una tecnologia per trasferire anni di vita da un essere umano all’altro. Una scoperta che ha del miracoloso e che, messa a legge, permette ad Aeon di controllare e quindi comprare le vite di tutti. Praticamente la manifestazione corporea (esattamente nel fisico umano) del capitalismo più estremo. Questa è solo la parte del world-building incredibile di Paradise, un thriller fantascientifico come raramente se ne vedono: ben messo in scena, scritto magnificamente e diretto con l’intelligenza di chi sa che deve portare a casa un ottimo film popolare e non uno d’autore.

Di primo acchito, Paradise sembra infatti un thriller come tanti, così come banale sembra il conflitto del protagonista: un giovane dirigente Aeon che viene costretto a lottare contro il sistema che ha alimentato dopo che sua moglie viene privata legalmente di 40 anni di vita. E invece quello che riesce a costruire poi Paradise con queste premesse è semplice entusiasmante, inaspettato, pieno di sorprese e addirittura (e qua sta il picco di genialità: la prospettiva futura) già aperto ad un sequel con un finale che non lascia dubbi.

Con tre sceneggiatori e altri tre registi dietro (Boris Kunz, Tomas Jonsgården, Indre Juskute), Paradise è infatti l’esempio virtuoso di un cinema di genere collettivo e quindi produttivamente solido (quello che proprio manca in Italia). Certo poteva essere una scommessa persa, però fortunatamente Paradise né pecca di arroganza né sbaglia nulla. Per prima cosa infatti il film ha un intreccio che lascia agganciati, dialoghi credibili e una storia che invita alla riflessione non grazie ai paroloni ma semplicemente per come struttura l’ordine delle scene (e quindi come il pubblico viene a sapere le cose). Secondo, è l’idea tematica di Paradise che governa i personaggi, non viceversa: in questo modo il film ci sta quindi raccontando un mondo audiovisivo, non una semplice storia.

Qual’è quindi questa idea? È quella di prendere diversi personaggi e metterli di fronte alle loro singole responsabilità verso quel mondo corrotto, per far così rendere conto a noi spettatori di quanto il capitalismo più predatorio si basi sostanzialmente sull’indifferenza. Di tutti.

Tutto questo sta dentro un film dall’aspetto volutamente medio, ma così bene eseguito che diventa semplicemente sintetico. Lo è nelle scenografie ma anche nei costumi, mai goffamente eccessivi; lo è nei nella regia, sempre a favore esplicativo ma mai a favore dell’ingenuità. Nonostante qualche increspatura, è questa la virtù del migliore cinema medio.

Sì, stiamo già aspettando il prossimo capitolo: chissà cos’è questo “Paradise” del titolo.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Paradise? Scrivetelo nei commenti!

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