Pan - Viaggio sull'Isola che non C'è, la recensione

Alla ricerca di una nuova versione di Peter Pan quello che Joe Wright ha trovato è solo un territorio che non gli è familiare e nel quale sembra a disagio

Critico e giornalista cinematografico


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Non è difficile immaginare cosa sia Pan, una rilettura di Peter Pan in chiave più dura e adulta (ma chiaramente solo a parole) che parte da un villain e rilegge la storia che conosciamo esplorandone gli anfratti sconosciuti. È una pratica inaugurata dalla Disney che è diventata ormai una certezza annuale e garanzia d’incasso, il modo migliore (per loro) di sfruttare proprietà intellettuali note in una nuova chiave. Biancaneve, Alice nel Paese delle Meraviglie, La Bella Addormentata nel Bosco… sono tutti racconti che hanno subito il trattamento dark a partire dai villain. Con Pan anche la Warner cerca il suo posto al sole in questa zona di rara soddisfazione per lo spettatore più esigente, eppure la delusione in questo caso è ancora più cocente del solito.Come Maleficient l’obiettivo pare essere la revisione delle parti in gioco

Dietro la storia dell’origine di Peter Pan, cioè di come un bambino sia diventato l’eroe della storia che conosciamo, c’è un doppio svelamento. Non solo la prima introduzione dell’Isola che non c’è e dei bimbi sperduti ma anche l’introduzione di Capitan Uncino, senza uncino, come personaggio positivo che intuiamo un giorno diventerà negativo. Come Maleficient infatti l’obiettivo pare essere la revisione delle parti in gioco, l’assoluzione del villain tramite un’origine gentile e in più la fondazione di un possibile franchise.

Dall’altra un obiettivo non nascosto è anche quello di rifare Hook di Spielberg, cioè la trasformazione di Peter Pan in un film d’avventura esotica, cappa e spada con ironia per ragazzi. Ma nè il pubblico infantile sembra poter ottenere quel che desidera (intrattenimento di incredibile efficacia) nè quello adolescente può trarne soddisfazione (introduzione nelle solite formule di un’arguzia sentimentale sotto copertura).

Purtroppo alla fine nulla gira per il verso giusto in questo pasticcio pieno d’azione ma che non intrattiene mai. Nonostante sulla carta abbia tutto quel che serve, dalla linea romantica, al cattivo con carisma di Hugh Jackman (talmente forzato da ottenere l'effetto contrario, ovvero la perdita di qualsiasi fascino), fino ai grandi voli e alla suggestione, in realtà la regia di Joe Wright è più inadeguata che mai. Nonostante un inizio che sembra ricordare i fasti dei suoi drammi dal montaggio originale (Espiazione, Anna Karenina), il resto del film si assesta con agio sul terreno della noia e anche le poche idee suonano stonate come l’uso di Smells like teen spirit come inno malefico.

Quel che dovrebbe emozionare e lasciare con poca saliva in bocca, per la tensione e l’eccitazione della sfida al limite delle proprie forze in luoghi sconosciuti e sbalorditivi, in realtà ha il sapore del racconto fatto controvoglia, azione girata da chi non l’ama, montata in assenza del regista e quindi incapace di cogliere il lato emozionante per eccesso di clichè.

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