Pamela: A Love Story, la recensione

La recensione di Pamela: A Love Story, il sorprendente documentario Netflix in cui Pamela Anderson ripercorre la sua vita e il suo rapporto con le immagini

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La recensione di Pamela: A Love Story, su Netflix dal 31 gennaio

Quando si tratta di documentari biografici così dettagliati e cronologici sulla vita di una persona è sempre difficile riuscire a trovare un buon equilibrio tra l’empatia per il personaggio raccontato - soprattutto se parla di sé in prima persona - e la giusta distanza documentaristica, quella che permette di mettere in discussione chi si sta raccontando e di mostrare le idee del documentarista come un ulteriore punto di vista. Pamela: A Love Story di Ryan White trova fin da subito questo equilibrio tra biografia e lettura documentaria: lo fa affiancando alle parole di Pamela Anderson stessa che racconta la sua vita (in un’intervista dove passa in rassegna praticamente tutto, dall’infanzia a oggi) in queste riflessioni dal sapore confidenziale un puntiglioso montaggio di video d’archivio, privati e non, per cui le parole di Pamela aggiungono sempre un ulteriore livello di lettura a quello che stiamo vedendo.

In sintesi si potrebbe dire che Pamela: A Love Story è un documentario che, più che volerci raccontare la storia di Pamela (e comunque lo fa in modo quasi filologico) ci spinge a ragionare a fondo sul rapporto di Anderson con le immagini. Questo vale sia per la sua immagine “vendibile” - quella delle copertine di Playboy, o di Baywatch - sia per la sua immagine sociale - come la vedono gli uomini, e di conseguenza l’hanno trattata - trovando nel famoso caso dei sex videotape rubati di lei e l’ex marito Tommy Lee l’esempio plateale di come per Pamela sia sempre stata una questione di limiti tra come si sentiva dentro e come voleva che gli altri la vedessero.

E così l’empatia che proviamo per il personaggio privato, ovvero quella Pamela che vediamo in vestaglia, struccata e scherzosa, si rafforza sempre di più man mano che ci rendiamo conto di come per lei stessa la sua identità e la sua persona più privata siano sempre state legate a doppio filo con la sua immagine, di quanto l’esposizione fiera della sua sessualità fosse fin da subito un metodo per risanare un trauma e di come all’opposto l’esposizione non consensuale della sua sessualità le abbia causato, parimenti, il trauma più grande della sua vita.

La conferma di questa indagine identitaria-visiva di Ryan White la troviamo nel fatto che il regista  ci propone, oltre alla classica intervista frontale, Pamela che guarda vecchie videocassette della sua vita alla tv, filmandone le reazioni immediate. Unendo questo stratagemma alla lettura ad alta voce (questa volta da parte di un'attrice in voice over) dei suoi vecchi diari ne viene poi fuori un personaggio ironico, commosso e piuttosto abbattuto per come sono andate le cose, ma pieno di voglia di trasformarsi nuovamente - alla fine la vediamo su un palco di Broadway - e deciso a ribadire la sua verità: “non sono una vittima”. Un documentario letteralmente sorprendente.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Pamela: A Love Story? Scrivetelo nei commenti!

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