Palm Springs, la recensione
Palm Springs è una vera e propria perla di commedia situazionale e schietto romanticismo: è tanto semplice quanto efficace, e destreggiandosi abilmente nel suo incastro temporale non perde mai la sua assurda credibilità.
Diciamolo subito: sì, il film di riferimento di Palm Springs di Max Barbakow è certamente Ricomincio da capo di Harold Ramis, commedia romantica del 1993 dove Bill Murray era incastrato in un loop temporale, costretto a rivivere lo stesso giorno in eterno fino a che fosse diventato una persona migliore - conquistando così anche la donna dei suoi sogni. Una metafora della vita rivista attraverso il twist di un semplice quanto geniale espediente drammaturgico, che quasi 30 anni dopo lo sceneggiatore Andy Siara riprende e aggiorna brillantemente, e che Barbakow aiuta a far emergere con una regia sempre al servizio della narrazione (non virtuosa, sovrastante, ma “utile”).
Il sostituto di Bill Murray è qui il comedian Andy Samberg, ovvero Nyles, un ragazzo incastrato in una relazione a cui non tiene più ma che non ha il coraggio di far finire, e che si reca controvoglia a una festa di matrimonio con la sua ragazza. Ed è al matrimonio che incontra Sarah (Cristin Milioti), la sorella della sposa, anche lei insoddisfatta della sua vita, che lo segue per sbaglio in un varco spazio-temporale che li costringe a rivivere insieme, all’infinito, lo stesso giorno.
La missione che i due autori si erano preposti non era per niente facile, eppure Palm Springs scorre veramente piacevolmente, in un baleno, riuscendo a non rivelare troppo quando non serve (ad esempio non viene spiegata l’origine del varco, perché semplicemente non è rilevante ai fini della storia) e a rivelare nei momenti giusti (appunti con i plot twist piazzati quando servono). Barbakow e Siara hanno proprio fatto centro.