Palm Royale (prima stagione): la recensione

Con Palm Royale Apple TV+ confeziona una comedy che oltre al cast stellare e alla ricca messa in scena, ha poco o nulla da offrire

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Kristen Wiig guida un cast stellare nella nuova serie tv comedy di Apple TV+ Palm Royale, ambientata nella Florida di fine anni ’60. Ecco la nostra recensione (senza spoiler) della serie in arrivo sulla piattaforma il 20 marzo.

"Tutto ciò che ho sempre voluto è appartenere. Essere qualcuno in questo mondo. Ma c'è una fregatura quando una donna vuole essere qualcuno. E quella fregatura sono gli altri".

Una premessa recitata in voice over dalla protagonista nella primissima scena di Palm Royale che suona come una dichiarazione d’intenti: preparatevi ad una storia di riscatto femminile, piena di ostacoli e tribolazioni che la nostra eroina riuscirà a superare con le proprie forze, trovando finalmente il suo agognato posto nel mondo. 

Liberamente tratta dal libro “American Pie” di Julier McDaniel e con Abe Sylvia in veste di showrunner e produttore esecutivo, Palm Royale racconta in effetti una storia di riscatto femminile ma declinata nella forma dell’arrampicata sociale all’interno dell'America ricca e privilegiata di fine anni ’60, e lo fa citando The White Lotus, Mad Men, Desperate Housewives e persino Bridgerton

Quanto è dura la salita 

Palm Royale racconda le vicende di Maxine Simmons-D’ellacourt (Kristen Wiig), un ex reginetta del Tennessee determinata a farsi strada nella cerchia ristretta dell’alta società di Palm Beach, nella soleggiata Florida del 1969. Il suo unico asso nella manica è l’arruffato marito Douglas (Josh Lucas), imparentato con la matrona della città Norma D’ellacourt (Carol Burnett) attualmente in stato comatoso. L’assenza della zia acquisita è l’occasione per Maxine di scalare le mura dell’esclusivo club balneare della città, ma per farlo dovrà prima farsi accettare dalle sue temibili custodi: due su tutte l’Ape Regina della filantropia Evelyn Rollins (Allison Janney) e l’annoiata moglie di un politico Dinah Donahue (Leslie Bibb) che non hanno nessuna intenzione di accettare una outsider.

Maxine troverà un improbabile alleato in Robert (Ricky Martin), un cameriere inizialmente sospettoso ma di buon cuore e in Linda (Laura Dern), leader di un circolo femminista locale che ha dei legami con l’élite di Palm Beach. Tra grandiosi galà di beneficenza e sessioni interminabili dal modista, Maxine si ritroverà invischiata in pettegolezzi e relazioni pericolose, tentativi di omicidio, trame politiche e molto altro, tutto pur di soddisfare il suo bisogno di appartenenza. 

Noia patinata

Palm Royale racconta sì una storia si riscatto femminile ma anche una (solita) storia di ricchi che parlano solo tra ricchi di cose inutili che interessano solo ai ricchi. In questo senso il paragone con The White Lotus è legittimo, così come comune è la satira verso l’illusione e la futilità del lusso, se non fosse che la serie targata HBO ha un livello di scrittura decisamente superiore, perfettamente calibrato tra il drama e la comedy e con un ritmo incalzante che, complice la sottotrama gialla del whodunit, non rischia mai di annoiare. Una sottotrama presente anche in Palm Royale ma che, in assenza di una definizione migliore, è purtroppo semplicemente noiosa. 

Dieci episodi sono poi un tempo davvero infinito per sbrogliare intrighi e scandali dell’alta società. Sebbene la storia sia sovraccarica di eventi, sia narrativi che nel senso di balli, feste e raccolte fondi, poca e incoerente è invece la sostanza che questi eventi raccontano. C’è un numero limitato di materialistiche frivolezze che possono essere rese interessanti senza risultare ripetitive, e all’ennesima crisi di nervi per un aperitivo saltato anche la pazienza dello spettatore più mondano può venire meno.

Risate di circostanza

Scrivere una commedia su quanto siano tristi i ricchi ha sicuramente le sue sfide, ma se a questo aggiungiamo un ritmo lento, un tono confusionario e delle battute che raramente fanno ridere, allora diventa impossibile arrivare alla fine senza avvertire una certa fatica.

Gli stereotipi sulle mogli annoiate stancano dopo due episodi, la pressione della gogna pubblica ad opera del giornale locale, The Shiny Sheet, non è neanche lontanamente divertente come lo è in Bridgerton, mentre l'interrogativo su quanto siamo disposti a sacrificare per il successo non fa mai realmente presa. Idealmente si fa il tifo per Maxine e per la sua incrollabile determinazione, testimonial di tutti gli underdogs che lottano per garantirsi un posto in cui splendere, ma a metà stagione quella stessa risolutezza appare solo ridicola, cieca e insensata.

Un cast di stelle che faticano a brillare

Se ci stanno a cuore le sorti di Maxine il merito è esclusivamente della sua interprete, l’attrice comica Kristen Wiig (qui in veste anche di produttrice), alla guida di un cast incredibile che è a conti fatti l’unica vera attrazione della serie. La sua mimica, il suo uso del corpo da slapstick comedy e la sua aria stupefatta la rendono perfetta nell’interpretare questa donna costantemente in balia degli eventi. Ma la sua non è l’unica performance notevole: lo sguardo penetrante e la presenza di scena di Allison Janney catalizzano l’attenzione sul suo personaggio ogni volta che appare, mentre la leggenda pluripremiata Carol Burnett fa il massimo in un ruolo imbarazzante per quanto sia sprecato. 

Rivelazione per Ricky Martin, abbastanza credibile nel personaggio forse migliore e più empatico della serie, mentre Laura Dern purtroppo ripete in versione hippie quello che sembra ormai essere il suo ruolo da quel famoso monologo che le valse l’Oscar per Storia di un matrimonio. Le uniche scene emozionanti che la riguardano sono quelle che condivide con Bruce Dern, padre sia nella realtà che nella serie. A trainare Palm Royale non sono quindi tanto le interazioni tra i personaggi, quanto più quelle tra gli attori che li interpretano, che sembrano essersi divertiti davvero tantissimo. Loro perlomeno. 

La vita vera sullo sfondo di Palm Royale

In questo gioco di apparenze e lusso sfrenato lo sfondo è quello dell'America di fine anni ’60, quella dell’era Nixon e della guerra del Vietnam, dell’Apollo 11, di Woodstock e dei moti di Stonewall. Palm Royale tenta di includere nella trama più di un commento a questo clima di fermento sociale, politico e culturale. A volte i riferimenti restano letteralmente sullo sfondo, altre volte sono più presenti, altre invece sono inseriti in un dialogo e abbandonati un secondo dopo. Le incursioni su temi come l’uguaglianza razziale e di genere, l’aborto e l’attivismo per i diritti LGBTQ+ solo in alcuni casi sono sapientemente cuciti addosso ai personaggi proprio come lo sarebbero i loro costosissimi vestiti fatti su misura.

La maggior parte delle volte le parentesi “sociali”, quando non risultano forzate o addirittura fastidiose, sono sempre viste dalla prospettiva di personaggi privilegiati il cui unico obbiettivo è quello di raggiungere la cima della piramide e restarci il più a lungo possibile. La scrittura poco coesa della serie non permette di capire se questa chiave di lettura sia un intento di satira voluto: sta di fatto che la sensazione è quella del solito elenco di caselle/temi rilevanti da barrare a tutti i costi. 

Meno male che c’è il glamour 

Se non altro Palm Royale è bella da guardare, con un allestimento che stupisce e soprattutto aiuta a distrarsi dalla trama inconsistente. L’estetica degli anni ’60 è restituita alla perfezione e questo vale per tutti i reparti, dalla fotografia ai costumi, dalle scenografie al set design. Che si tratti di abiti sfarzosi color pastello, acconciature eccentriche o jeans hippie a zampa d’elefante, la moda racconta brillantemente ogni personaggio (decisamente meglio della sceneggiatura) così come ogni oggetto di scena è ricercatissimo per accuratezza e stravaganza. 

La lussurreggiante atmosfera della Florida di fine anni ’60 è ricreata con una messa in scena davvero maestosa e se amate lo stile di quegli anni o apprezzate quei prodotti audiovisivi in grado di riportarvi indietro nel tempo, allora Palm Royale è la serie che fa per voi. Ma la bellezza non basta e non può reggere da sola dieci ore di televisione perché, proprio come scopriamo nella serie, l’apparenza e l’ostentazione alla fine non sono altro che mere illusioni. Probabilmente lo sforzo produttivo messo in campo frutterà una lunga serie di premi tecnici e questa è sempre una nota positiva per le maestranze. 

Palm Royale 2: Seventies, here we come

In conclusione, Palm Royale è una serie bella ma che non balla per usare un terribile modo di dire, godibile se amate vedere dei ricconi intenti a scannarsi tra loro e perfetta se cercate qualcosa che intrattenga senza impegno, da guardare per divertirsi e fare un tuffo nel passato. Un passato in cui tornare anche in futuro visto che la serie è già stata rinnovata per una seconda stagione. Dopotutto le regole della mondanità insegnano: parlare quando non si ha nulla da dire è un’arte, così come quella del tirarla per le lunghe. 

La prima stagione di Palm Royale debutterà su Apple TV+ il 20 marzo con i primi tre episodi, seguiti da nuovi episodi ogni mercoledì fino all’8 Maggio. Voi la guarderete? Commentate se avete un abbonamento a BadTaste+!  

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