Palazzina LAF, la recensione
Tutto il suo piacere Palazzina LAF sembra metterlo nella parte di denuncia e non ne rimane per l'atto di scrivere e girare un film
La recensione di Palazzina LAF, l'esordio alla regia di Michele Riondino in sala dal 30 novembre
Germano ha un ruolo che gli consente di esagerare con il registro ma mai quanto quella di Riondino, una maschera. Il protagonista di Palazzina LAF infatti vive in un buco (letteralmente) ha una brillantina d’altri tempi e modi, toni, ragionamenti e mentalità ugualmente d’altri tempi. Ignorante e meschino, egoista e privo di una coscienza sociale sembra destinato a maturarne una nel corso della storia. Solo che Palazzina LAF è tratto da una storia vera e quindi è più complicato di così. Almeno negli esiti perché il film, in sé, di complicato ha poco.
C’è nel protagonista un contrasto che intuiamo ma non capiamo. Nelle persone intorno a lui invece non ci sono che certezze. La certezza che alcuni siano dei mostri creati dal mobbing. La certezza che altri siano aguzzini. La certezza che chiunque non abbia un po’ di potere sia una vittima e basta. È una forma di accusa (non era difficile da intuire) che però non prende mai la via del cinema ma sempre quella della favola (nonostante sia tratto da una storia vera), cioè quei racconti in cui il destino dei personaggi è segnato dall’inizio e la loro parabola non è umana ma morale. Non c'è nessun piacere nel mettere i personaggi in situazioni interessanti o nel fargli attraversare una tempesta che metta alla prova loro (e quindi noi), solo il piacere di mostrare chi sono i buoni e i cattivi nel mondo reale.