PADRENOSTRO, la recensione | Venezia 77
Claudio Noce riduce la pressione degli anni di piombo alla pressione psicologica di un bambino, perdendo però lungo la strada la chiarezza di un vero obiettivo tematico.
Da una parte infatti la storia sembra andare nella direzione del rapporto padre-figlio. Il piccolo Valerio (Mattia Garaci) traumatizzato dall’avere assistito con i proprio occhi alla sparatoria che costò quasi la vita a suo padre (Pierfrancesco Favino) cerca continuamente la figura paterna e lotta quotidianamente contro il suo allontanamento fisico ed emotivo. Poi però arriva Christian (Francesco Gheghi), un quattordicenne da borgata che ha le sembianze di una visione, e che diventa amico di Valerio. Proprio la figura di Christian innesta un altro tema: questo infatti, reso come puro frutto dell’immaginazione di Valerio, sembra voler rappresentare l’impossibilità razionale del bambino. Stiamo forse andando nella direzione della metafora?
Se quindi la riflessione tematica si affonda nella confusione della trama, va però sicuramente elogiata la capacità di Claudio Noce di lavorare sulla tensione: si ha infatti sempre la sensazione di essere in pericolo, che qualcosa di brutto accadrà da un momento all’altro. Noce sa lavorare sulla scena, sui tempi, e sa dirigere gli attori. Il piccolo attore che interpreta Valerio è infatti capace di reggere un intero film come protagonista (da quando, nel cinema italiano, non si vedeva un bambino totalmente protagonista?). Favino ovviamente va da sé, ovunque lo si metta riesce a essere impeccabile.