Il Padre d'Italia, la recensione
Convenzionale e sorprendente al tempo stesso, Il Padre d'Italia racconta una storia poco originale animandola con personaggi unici
Il secondo lungometraggio di finzione di Fabio Mollo è infatti la storia di due esseri umani diversi fra loro che si incontrano per caso. Un gay dalla vita inquadrata, abbattuto da una storia appena finita, una cantante scapestrata ampiamente incinta ma poco interessata alla gravidanza. Il primo, per senso del dovere, cercherà di accompagnare la seconda a casa (se non altro) finendo in una rete di obblighi, sempre più grandi.
Scartando subito la storia d’amore per ragioni di preferenze sessuali, tra i due protagonisti si sviluppa un rapporto asimmetrico ma di grande emotività e dipendenza, un incontro fugace (poco più di un weekend) che brucia svelto e intenso. Se è vero che recitare è reagire a qualcosa, le reazioni dei due personaggi non sono mai fino in fondo quelle che ci aspettiamo, non sono mai quelle codificate dalla retorica del cinema e somigliano invece all’imponderabile casualità della vita. In questo Il Padre d’Italia trova una risacca sentimentale inesplorata in cui sguazzare, che poi è il ruolo del cinema indipendente: esplorare altre idee, altre persone, altre scelte, altri modi di essere protagonisti di una storia e animarla con quello spirito di alterità che il cinema mainstream teme di non potersi permettere.