Pacific Rim: La Rivolta, la recensione

Al secondo film le ambizioni sono di molto ridotte. Pacific Rim vuole essere solo un intrattenimento ben fatto, senza nessuna velleità. E ci riesce

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Alle volte ci vuole un sequel per apprezzare di più un primo film.

Guillermo Del Toro cinque anni fa aveva creato un ponte tra Giappone e Stati Uniti, un film che doveva tradurre i mecha e gli jaeger per un pubblico che poteva anche non conoscerli o apprezzarli, traducendo di conseguenza anche molta dell’etica nipponica che li anima in una storia d’azione americana. Il risultato era effettivamente a metà. Ora per il sequel è cambiato tutto e la scelta è stata netta e salomonica. Pacific Rim: La Rivolta è un film pienamente americano in cui il Giappone è solo uno scenario, uno sfondo come gli altri, molto citato e rappresentato ma solo come simbolo di un retaggio di certo non portato avanti.

Già dalla prima scena le differenze sono evidenti. Pacific Rim aveva un momento di dolore in cui il robot (alla nipponica) ci dà l’impressione di arrancare come un uomo, uno in cui testa, cuore e corpo sono messi alla prova e l’immagine di un gigante di ferro monco che si trascina sulla spiaggia rimane impressa per identificazione tra macchina e piloti. Pacific Rim: La Rivolta ha una scena d’azione esaltante che introduce i nuovi personaggi all’insegna del fomento ma che non collega la macchina all’umano, non gli dà uno spirito e la tratta più o meno come un’automobile: un mezzo da guidare. Nel primo c'erano le idee di Guillermo Navarro (uno dei migliori direttori della fotografia del mondo), qui quelle dell'esperto mestierante Dan Mindel (Star Trek, John Carter, Il Risveglio Della Forza...).

Questo tuttavia non significa che Pacific Rim: La Rivolta sia un brutto film. Steven S. DeKnight fa un gran lavoro di comprensibilità e spettacolo, ha tutte scene di giorno e con il sole (tranne una) invece di quelle di pioggia di notte, deve mostrare invece di nascondere e riesce a coordinare scene d’azione di ottimo impatto, divertenti, dinamiche e mai banali o ripetitive. Pacific Rim: La Rivolta è tutt’altro che un film fatto male, ma un blockbuster eseguito benissimo con correttezza e molta conoscenza del mezzo. Il suo problema semmai è che non ha personalità, perché non desidera averla.

Si comprende molto bene come l’obiettivo sia quello di realizzare qualcosa che il pubblico possa riconoscere chiaramente. Dalle situazioni, agli intrecci fino alla caratterizzazione dei personaggi e l’arco che devono superare, tutto ci suona noto e riconoscibile. Non c’è epica che non venga dalla classica rivincita personale, non c’è divertimento che non venga dalla più usuale sbruffoneria e non c’è conflitto che non derivi da una tipica amicizia sfociata in rivalità. Anche la parte potenzialmente migliore, quella del rapporto istruttore/recluta, è molto classico e all’acqua di rose.

Pacific Rim: La Rivolta vuole dismettere qualsiasi complessità narrativa e, in un mondo che ha smesso di subire invasioni aliene, trovare una nuova minaccia il doppio peggiore di quella di prima (sia robot che kaiju) per attivare una nuova generazione di protagonisti blandamente legati al passato. In questa revisione verso il basso delle ambizioni il film riesce, perché questo traguardo più semplice lo taglia ampiamente. Vuole intrattenere per bene e basta, con i suoi cattivi che urlano con gli occhi fuori dalle orbite, i mostri malvagi da cui difenderci e i giovani che sono il nostro futuro, in più creando un po’ di presupposti per una lunga serie di film. Non è molto ma nemmeno poco viste le proporzioni e la complessità dell’azione che propone.

Ognuno poi giudicherà per sé a quello modello di Pacific Rim riesce ad essere più legato, se quello ambizioso e imperfetto di Guillermo Del Toro o quello più contenuto ma pienamente riuscito di Steven S. DeKnight.

Continua a leggere su BadTaste