Pachinko – la moglie coreana (seconda stagione): la recensione 

«L'attesissima seconda stagione di Pachinko – la moglie coreana si riconferma come un'esperienza visiva assolutamente imperdibile»

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Ritorna su Apple TV+ l'attesissima seconda stagione di Pachinko – la moglie coreana, la serie in tre lingue basata sul romanzo omonimo di Min Jin Lee. Ecco la nostra recensione.

“Guarda avanti. Guarda sempre avanti”.

Una frase pronunciata da più di un personaggio e che da sola può racchiudere l'intero messaggio della serie. Perchè Pachinko – la moglie coreana è una storia che ha dentro tutto, amore, dolore, sacrificio, identità, perdita e coraggio, ma più di ogni altra cosa è una storia sulla resilienza e sull'andare avanti sempre nonostante tutto. 

Basata sul romanzo bestseller omonimo del 2017 di Min Jin Lee, Pachinko – la moglie coreana è un'opera multilingue che si snoda attraverso quattro generazioni e che segue la vita di Sunja, una ragazza coreana emigrata in Giappone durante la dominazione giapponese della Corea negli anni '10, per arrivare a seguire la famiglia fino alla fine degli anni '80, attraverso le sorti di Solomon, il nipote di Sunja, che ritorna in Giappone dopo aver studiato e fatto carriera negli Stati Uniti. Dopo una prima stagione straordinaria, la serie ideata da Soo Hugh torna ad esplorare grandi temi universali attraverso il racconto di una storia familiare, esaminando come gli eventi storici e culturali abbiano nel corso del tempo plasmato l'esperienza degli immigrati coreani in Giappone. 

Una famiglia, quattro generazioni 

In questa seconda stagione ritroviamo Sunja nell'Osaka del 1945 che, dopo l'arresto del marito Isak, cresce tra molte difficoltà e con l'aiuto della cognata Kyunghee i due figli Noa e Mozasu. Ma la guerra è alle porte e dopo quattordici anni dal loro ultimo incontro sarà proprio la minaccia del conflitto a far rincontrare la protagonista con Koh Hansu, il ricco coreano legato alla mafia giapponese e vero padre di Noa. Nonostante le iniziali proteste sarà grazie a lui se Sunja e la sua famiglia riusciranno a trovare una via di fuga dalla città ed a rifugiarsi in campagna durante i bombardamenti.

Nel frattempo nella Tokyo del 1989 il nipote di Sunja Solomon, dopo aver perso tutto a causa di un atto di compassione, è determinato a ricostruirsi una carriera nel mondo degli affari, e per farlo sarà costretto ad accettare qualsiasi compromesso, anche morale. Con lui ritroviamo anche le sorti del padre Mozasu, alle prese con dei problemi finanziari legati alla sua sala pachinko e di una ormai anziana Sunja, che dopo anni ancora trova difficile adattarsi alla vita in Giappone. Si tratta di una stagione che esplora ancora una volta il trauma generazionale che vivono gli immigrati, costantemente divisi tra la necessità di appartenenza e il ricordo delle proprie radici, il tutto raccontato nella cornice del Giappone della Seconda Guerra Mondiale, dell'inizio degli scontri tra la Corea del Nord e quella del Sud per poi arrivare al boom economico degli anni Ottanta.

Una storia che si ripete 

Che si tatti dei sacrifici di Sunja per sfamare la sua famiglia o della determinazione di Solomon di avere successo, ciò che lega le due linee temporali alla base della serie è la struggente tenacia che riecheggia nel tempo e attraverso le generazioni. Al cuore di Pachinko – la moglie coreana c'è questo, un racconto sul sacrificio e sulla resilienza di una famiglia che assume di volta in volta forme diverse, ma che in fondo si ritrova a combattere sempre le stesse battaglie.

Per quanto Sunja possa pensare che le sfide di suo nipote Solomon siano inferiori rispetto a quelle che ha dovuto affrontare lei, gli episodi di razzismo e di pregiudizio che continuano a verificarsi nonostante il passaggio del tempo dimostrano che la storia tende a ripetersi e portano ogni membro di questa famiglia a confrontarsi con una ferita che non smette mai di sanguinare e che neanche il tempo riesce a guarire. La serie riesce a raccontare senza mai essere retorica gli ostacoli e le tribolazioni di un gruppo di esseri umani mettendole a confronto in una narrazione che anche per questa seconda stagione va avanti e indietro nel tempo senza mai risultare confusionaria.

Le transizioni da un'epoca all'altra sono fluide, discorsive, legate insieme raramente per contrasto ma più spesso per assonanza di temi e situazioni. Come nel caso del cibo, un elemento narrativo centrale già nella prima stagione, attorno al quale si sviluppano tantissime scene dense di significato. La missione narrativa che Pachinko – la moglie coreana compie con eleganza e raffinatezza è il racconto di queste connessioni, di ciò che si tramanda e che unisce al di là del tempo e di quanto i legami, le conversazioni e anche gli scontri vadano celebrati e vissuti come parte di un unico struggente affresco familiare. 

Dramma storico e familiare

La seconda stagione di Pachinko – la moglie coreana si riconferma incredibile anche nel suo modo di essere intima nel tono ma epica nella portata. Una portata che è quella storica dei grandi eventi, come la Seconda Guerra Mondiale e le conseguenze dei bombardamenti americani sul Giappone, raccontati però sempre attraverso la lente del dramma familiare, dove ogni avvenimento è analizzato per il suo impatto sulla famiglia di Sunja. Come l'episodio dedicato allo scoppio della bomba atomica su Nagasaki, messo in scena in bianco e nero ma poi in realtà raccontato senza nessun intento documentaristico.

La Storia e la storia sono sempre perfettamente bilanciate, i temi politici e sociali sempre mediati e mai evidenziati in modo forzato, la rappresentazione della realtà del periodo storico sempre intrecciata e cucita addosso alle vicende personali dei personaggi. Come per il suo primo capitolo, anche questa seconda stagione riesce ad essere monumentale e raccolta allo stesso tempo, un meraviglioso e commovente affresco che raffigura le esperienze umane di amore, sacrificio, perseveranza e dolore all'interno di una cornice storica a molti sconosciuta. 

Un cast eccezionale 

Oltre ad una regia impeccabile, una ricostruzione storica notevole e una sceneggiatura magistrale, è forse il cast corale uno dei punti di forza maggiori della serie, dove ogni attore, dai protagonisti ai secondari, regala interpretazioni eccezionali e piene d'anima. A spiccare particolarmente è la performance assolutamente magnetica di Lee Min-ho nel ruolo di Hansu, un personaggio affascinante, carismatico e pieno di ombre, la cui complessità l'attore riesce a restituire magistralmente. Jin Ha nel ruolo di Solomon è in questa stagione più tormentato e meno ottimista, mentre si aggiunge alle interpretazioni notevoli anche quella di Jung Eun-chae nel ruolo della cognata Kyunghee, un personaggio apparentemente fragile ma che invece si rivelerà più forte del previsto.

Ma la colonna portante della serie è sempre lei, Sunja, interpretata doppiamente dalla giovane emergente Minha Kim e dalla premio Oscar Youn Yuh-jung. Entrambe le attrici regalano delle performance bellissime, autentiche e in grado di esprimere tutto il mondo interiore del personaggio attraverso pochissime battute e delicate espressioni. Un cast che padroneggia non una ma ben tre lingue, coreano, giapponese ed inglese: un elemento quello linguistico particolarmente affascinante e che restituisce ricchezza ed autenticità alla storia raccontata (l'uso dei sottotitoli di diversi colori a seconda della lingua parlata è brillante e originale). 

Un ritorno che non delude 

Pachinko – la moglie coreana è un'opera che emoziona nel senso che è in grado di suscitare nello spettatore tutti i tipi di emozione: fa piangere, fa sorridere (la nuova sigla rimane in questo senso ancora una volta non skippabile), è frustrante, fa soffrire, fa riflettere, fa arrabbiare, fa sognare. Guardare questa serie è un'esperienza completa ed immersiva e alla fine della visione non si può fare a meno di restare con una confortante sensazione di speranza e ottimismo verso il futuro, nonostante o forse proprio grazie a tutto ciò che di doloroso accade nel corso della storia.

Si tratta di una serie, una delle poche in giro, che racconta di qualcosa di reale, che mette in scena personaggi e sentimenti reali, e che per questo non può far altro che suscitare emozioni reali che vi accompagneranno anche molto dopo aver spento la TV. Stando alle dichiarazioni della sceneggiatrice la storia completa raccontata nel libro necessita di quattro stagioni per essere adattata al meglio e vista la conclusione del secondo capitolo non possiamo che aspettarci che continui. E più che una speranza si tratta di una preghiera. 

E voi guarderete la serie? Vi ricordiamo che la seconda stagione di Pachinko – la moglie coreana debutta oggi 23 agosto in streaming sulla piattaforma con il primo degli otto episodi totali, seguito da un episodio settimanale ogni venerdì fino all'11 ottobre. Commentate se avete un abbonamento a BadTaste+!

Potete trovare tutte le informazioni e le curiosità sulla serie nella nostra scheda.

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