Ozark (prima stagione): la recensione

Ozark è la nuova proposta di Netflix: un cupo thriller che ha qualcosa di Breaking Bad e Justified, con Jason Bateman e Laura Linney

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Spoiler Alert
Freddo e cupo è il sentiero percorso dalla famiglia Byrde, e tutto in Ozark risuona di quella pesantezza di temi e di eventi. Lo fa tramite una visione che affossa e deprime, che consuma e intristisce. Ozark è un'oasi del male, in cui l'innocenza non esiste e le vicende senza speranza fanno da cornice al lago che domina la zona. La nuova proposta di Netflix, creata da Bill Dubuque e Mark Williams, è un thriller cupo in crescita, che procede secondo snodi che non ci aspetteremmo e che sfrutta ogni occasione per affondare nel marcio dell'animo umano.

Protagonista, quindi, è la famiglia Byrde. Lui è Marty (Jason Bateman), promotore finanziario che rischia la vita nel momento in cui un suo pericoloso cliente scopre una grossa perdita. Per avere salva la vita, l'uomo tenta il tutto per tutto affermando di poter riciclare una grossa somma di denaro in poco tempo. Per far questo si trasferisce con l'intera famiglia nella località che dà il nome alla serie. Lei è Wendy (Laura Linney), che lo segue non senza qualche remora sulla questione, mentre i due figli sono Charlotte e Jonah (Sofia Hublitz e Skylar Gaertner). Il pericolo imminente si inserisce in un momento di crisi già esistente, con la coppia in aperto contrasto, tra segreti e bugie. Una volta giunto sul posto, Marty scopre che questo non è affatto tranquillo, e che un fitto sottobosco criminale si agita già. Non sarà facile realizzare il proprio proposito.

Il primo, e più ovvio paragone è con Breaking Bad. In entrambi i casi abbiamo una prospettiva familiare che viene sconvolta e messa a dura prova dalla vicinanza con l'ambiente criminale. Si parla di personaggi che loro malgrado devono spingere al limite i loro convincimenti morali, rischiare il tutto per tutto per poter sopravvivere e che, così facendo, perdono qualcosa a livello di umanità. Ma Ozark ben presto prende una strada tutta sua, qualcosa che lo rende più affine al marcio diffuso di Bloodline oppure alle ambientazioni di Justified, con i suoi nuclei familiari votati alla violenza e al controllo sul territorio. Il tutto agganciato ad un realismo di fondo che lo tiene lontano dagli slanci stilistici di Fargo, ma in fondo anche dello stesso Breaking Bad.

Colpisce il fatto che dopo poco tempo tutta la famiglia Byrde, figli compresi, è a conoscenza di quello che sta accadendo. Accade quindi che, invece di giocare sul contrasto tra la necessità di cavarsela e quella di mantenere il segreto, la lotta per la sopravvivenza diventa condivisa. È un rischio, il più grande che Ozark si assume, eppure giocando sul grottesco e su alcuni momenti esagerati, anche Charlotte e Jonah riescono ad essere tirati dentro. E questo senso di violenza esagerata, come nella scena in cui una donna viene investita nella più classica delle scene con “incidente a sorpresa” oppure in alcuni dialoghi tra Marty e Wendy, in qualche modo dovrebbe bilanciare la cupezza generale dell'ambientazione.

Non c'è speranza a Ozark. E tutte le altre sottotrame non fanno che confermarlo, quasi ponendosi come un puntello ideale allo stile della serie piuttosto che come un valido contributo alla storia. Su tutte la vicenda del pastore che predica sul lago ignaro dei traffici di droga che scorrono sotto i suoi occhi (a cui si dà molto spazio al di là dei collegamenti con la trama principale), o quella della famiglia Langmore. Spicca in quest'ultimo caso il personaggio di Ruth, interpretato da una Julia Garner che è quasi una rivelazione. Più necessaria senza dubbio la storia della famiglia Snell, principale ostacolo per Marty alla realizzazione del suo obiettivo.

Il tono della storia viene bilanciato sottilmente. È dark e senza speranza, ma lo è quel tanto che basta da non sfociare mai nel completo dramma. Rimane sempre quello spazio di godibilità, quell'aggancio nei dialoghi o nella storia che riporta il tutto ad una visione di genere.

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