Ovunque Tu Sarai, la recensione
Determinato non a mostrare quel che serve alla narrazione ma a narrare quel che gli va di mostrare, Ovunque Tu Sarai è tutto velleità e niente risultato
Ovunque Tu Sarai infatti non ha un’idea chiarissima di cosa fare con questa storia di amici, esperienze, cambiamenti e grandi avventure in viaggio, lo si capisce dalla fatica con cui i singoli episodi e momenti sono legati, da come improvvisamente sono tirate in ballo le svolte. In compenso però confida molto nei singoli momenti (anche il titolo non ha nessuna attinenza con nessun momento della storia e non se ne capisce il senso). Sa di volere che i propri personaggi si travestano, sa di volerli alle terme, di volerli far cantare e di fargli incontrare delle donne o di metterli su un minivan da figli dei fiori. Poco male se tutto questo non costruisce nulla e ogni svolta si esaurisce con il suo, già scarno, effetto immediato.
Tra comparsate implausibili di calciatori italiani di un tempo per la più classica delle improvvisate partite di calcetto contro gli stranieri di turno, tra spagnole innamorate perdutamente degli italiani appena arrivati, bilanci di una vita, lezioni imparate e confessioni “inattese”, i 4 romanisti in cerca di biglietti per la partita riescono solo a mostrare se stessi e il “problema” che incarnano. Francesco Apolloni e la sua incapacità di prendere la vita sul serio (eccessivo nel suo essere eccessivo), Ricky Memphis e il problema del gioco d’azzardo, Primo Reggiani e l’insicurezza sentimentale. Solo Francesco Montanari, come sempre, sembra profondere un impegno superiore a tutti, anche al film stesso. La sua recitazione fisica ed elettrica anima infatti la scena migliore di tutto il film, ovvero il collage di riti e superstizioni che animano la sua vita da tifoso.
Un product placement invadente come pochi altri solleva da ogni preoccupazione sulle possibili sorti economiche della produzione.