Overlord, la recensione
La nostra recensione di #Overlord
Il primo indizio che qualcosa non vada ci viene verso metà film quando è ormai chiaro che gli eroi di Overlord sono anonimi, non sappiamo nulla di loro né lo sapremo alla fine. Come sono finiti in quella guerra, chi abbiano a casa, cosa sognino, che sfida abbiano davanti a sé o ancora quale sia la loro vita al di fuori di quella situazione e di quella missione che sarà indispensabile allo sbarco in Normandia (a cui mancano solo 24 ore), sono interrogativi che rimangono senza risposta. Paradossalmente sappiamo quasi da subito molto di più sul membro aggiunto di questo plotone improvvisato, una ragazza che abita nel paesino francese nel quale si sono paracadutati. Lei vive lì con una nonna malata, contaminata da qualcosa, e un fratello piccolo, la cui salvezza è il suo unico obiettivo, una cosa per la quale ha subìto di tutto per i tedeschi ed è gonfia di desiderio di vendetta. Motivazioni, difficoltà, elementi di crisi e un po’ di storia personale.
Overlord è insomma il perfetto esempio del concetto che sta alla base del cinema negli anni dei cinefumetti, ovvero il fatto che più dei personaggi in sé, conta lo scenario fantastico, più degli uomini conta la loro trasformazione in altro, conta la dimensione visiva stilizzata e le regole di un mondo dai tratti estremizzati e dagli innesti fantastici.
Così mentre i nazisti nazisteggiano e i soldati americani non resistono dal dover fare la cosa giusta anche rischiando di mandare a monte l’operazione, Overlord scorre via felice e incolore, tranquillo all’idea di non aver bisogno di mettere in crisi i propri personaggi, dotarli di dialoghi brillanti o anche solo essere permeato da uno spirito, una visione e un’aria che lo rendano unico. Per Divertire diverte, ma senza alcuna possibilità di rimanere nella memoria. Come buona parte del fumetto seriale anche Overlord sembra concepito in fretta da una troupe talmente esperta da poter fare simili film a occhi chiusi. Invece no, è un film di un gruppo di sceneggiatori e di un regista con relativamente poca esperienza (escluso Billy Ray) che cercano di essere all’altezza di quel che il loro produttore J.J. Abrams pensa possa funzionare al box office.