Over The Moon, la recensione

Trattenuto e anche delicato fino a che tutto si svolge sulla Terra, Over The Moon diventa un delirio psichedelico quando atterra sulla Luna

Critico e giornalista cinematografico


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Over The Moon, la recensione

Fino a che Fei Fei non decide di andare sulla Luna, Over The Moon è ancora un film americano nello stile e nello storytelling. È la storia della difficile elaborazione di un lutto da parte di una bambina che nelle prime scene, con un po’ di ellissi e una gran delicatezza, ha perso la madre. Lei vive nella ripetizione e nella conservazione di tutto quello che faceva con la madre e che la madre le aveva insegnato, incluse le storie fantastiche sulla dea della Luna e la ricetta delle tradizionali torte di Luna. Il padre invece ha trovato una nuova donna con cui continuare a vivere, una che ha anch’essa un figlio ma più piccolo di Fei Fei. Durante una festività che ha attirato i parenti per cena Fei Fei sbotta, insofferente al cinismo dei parenti che non credono alle fantastiche storie della madre e ritengono che anche lei sia un po’ troppo grande per farlo.
A questo punto inizia il delirio.

Fei Fei decide di mettere a frutto il suo essere secchiona e inizia ad usare tutto il suo tempo libero per studiare i razzi e il volo nello spazio. Ne progetta di piccoli, e poi di più grandicelli, prova nuove tecnologie e si fa ispirare dalla levitazione magnetica dei bullet train per la sua rampa di lancio. Fin qui siamo ancora all’interno del reame di stranezze da animazione. Quando Over The Moon scavalla e diventa un film d’animazione pienamente cinese è quando poi sulla Luna Fei Fei ci arriva davvero con quel razzo costruito da sé.

C’è una storia popolare cinese dietro la mitologia lunare di questo film (raccontata con sequenze animate a mano nello stile di La storia della principessa splendente), come è un’importante tradizione cinese la festa di metà Autunno in cui si consumano le torte di Luna e come infine c’è Pearl Studios (una società di produzione cinese che fa film con gli studi di Hollywood, la stessa di Il piccolo Yeti) assieme a Sony Pictures Animation e Netflix dietro questo film, realizzato e scritto principalmente da americani. Glen Keane che lo dirige è una colonna della Disney (già regista del famoso corto Paperman), John Kahrs un animatore della Pixar. Da qui le due anime.

Tuttavia quando si arriva sulla Luna cambia tutta la palette di colori come se si arrivasse su Oz e si entra nella psichedelia pura. Non sono solo i colori fluo sparati come se ogni essere assurdo fosse alimentato al neon, non sono le torte di Luna parlanti che sembrano pasticche di MDMA parlanti e nemmeno idee assurde come rane giganti luminosissime che escono dalla sabbia lunare e prima vogliono mangiare i personaggi poi li trasportano in groppa verso la loro destinazione. È proprio tutto il tono e la maniera in cui il colore è usato in Over The Moon per dilatare la pupilla a richiamare la psichedelia, associato a ingressi come quello della gang di polli giganti che girano in moto (sempre sulla Luna eh).

La trama si fa al tempo stesso rarefatta e convenzionale, le canzoni si moltiplicano, e arriva un’avventura da poco con la dea della Luna Chang’e che sembra una star del pop koreano o a scelta una versione pompata di Katy Perry, i riferimenti ben più noiosi e lo spunto di una protagonista arrabbiata che si batte per affermare l’eredità che le ha lasciato la madre contro tutti gli altri scompare. Alla fine tutti accetteranno tutto e bene così.

Il trip è sceso e la Luna è salva.

Il film invece molto meno.

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