Outsiders 1x03 "Messengers": la recensione

Buon terzo episodio per Outsiders: continuiamo a conoscere i protagonisti e le loro motivazioni

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This mountain is ours, but it don't come free. We gotta pay rent on it, like anybody. Only our rent it come in blood.

I primi dieci minuti di Messengers, terzo episodio di Outsiders, si disinteressano quasi completamente della trama principale e vanno solo a raccontare un matrimonio come tanti presso i Farrell. Ancora una volta la serie di WGN America ci conferma che l'interesse principale in queso inizio di stagione è costruire un contesto interessante e definito, piuttosto che procedere a marce forzate con una storia che potrebbe appassionarci oppure no. Questo avviene un po' per necessità, perché è difficile capire che nel momento in cui la famosa montagna viene avvicinata dal governo, gli eventi precipiteranno subito, ma anche per scelta consapevole della scrittura, che costruisce pezzo dopo pezzo caratterizzazioni e relazioni.

L'idea di Outsiders come incrocio tra Vikings e Sons of Anarchy, che avevamo formulato fin dal pilot, viene continuamente rimarcata ed è la definizione più immediata di quello che abbiamo visto fino ad ora. Al di là dell'isolamento, delle tradizioni particolari del gruppo, c'è questa idea di tensione che viene alimentata continuamente e soffocata da necessità più immediate. Nel frattempo cresce il risentimento, cresce la rabbia, cresce la frustrazione. Little Foster come prevedibile è stato disconosciuto dal padre dopo la sconfitta contro Asa, e cerca riscatto come può, rischiando di compromettere ancora di più la situazione. Il Foster al comando da parte sua dimostra quell'inesperienza che già la madre aveva visto in lui, e di fronte alle sagge parole di Asa – l'unico che ha visto un po' di mondo e sa cosa sta per arrivare – risponde con la citazione che abbiamo riportato sopra.

Lo stesso Hasil, che la scorsa settimana avevamo visto in un ruolo più tranquillo e addirittura romantico, si lascia andare a gesti rabbiosi, e toccherà allo sceriffo Wade mettersi in mezzo ancora una volta per evitare un casus belli. La parte più interessante e conflittuale della puntata però arriva con l'immancabile riunione cittadina nel corso della quale si iniziano a far valere le ragioni di una parte e dell'altra. Dopo aver ascoltato una serie di pareri più o meno validi, è lo stesso Asa a scendere in campo, citando l'inno americano e sfidando apertamente chiunque deciderà di salire sulla montagna. L'idea di un pesonaggio come Asa, al limite tra i due mondi, viene continuamente sfruttata per sottolineare il contrasto esistente tra il "sopra" e il "sotto", tra la montagna e la cittadina: una visione in cui il personaggio di Joe Anderson interpreta sempre la parte del pesce fuor d'acqua.

Outsiders continua a funzionare anche perché, dopo tre episodi, pur rimanendo molti punti oscuri nella storia (Wade e il suo ruolo, sappiamo che la morte di suo padre riguarda i Farrell), riusciamo a investire interesse nella storia, chiedendoci non solo cosa avverrà, ma anche cosa spinge i personaggi ad agire in un certo modo (Asa, la sua è una provocazione o un gesto istintivo?). Ancora una volta un episodio da promuovere.

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