Outcast 2x04, "Nessuna Redenzione": la recensione
Ecco la nostra recensione del quarto episodio della seconda stagione di Outcast, intitolato "Nessuna Redenzione"
Anderson è arrabbiato, spaventato ma al contempo frustrato per le azioni di Aaron, è stato costretto a guardare Patricia morire lentamente e in più è stato accompagnato verso un pensiero ancor più letale per un uomo come lui, quel pensiero che gli ha ricordato che sarebbe stato meglio se quel giorno Aaron fosse rimasto vittima dell'incendio da lui stesso provocato. Nel frattempo troviamo un Kyle più maturo e questo è consolante per il futuro della serie, inoltre dà una spinta diversa alla storia principale che fino ad ora mancava. Il reietto aiuta infatti il Reverendo a non oltrepassare quella soglia, la soglia della perdizione, quella linea quasi invisibile che una volta oltrepassata ti fa dimenticare di tutte le cose belle della vita. E qui c'è un interessante collegamento con suo padre, reso possibile solo grazie alla conoscenza dell'eremita della discarica, un figura che fa dà collante con il passato ancora nascosto del protagonista. Kyle ha capito di non voler commettere gli stessi errori di suo padre e finalmente anche il pubblico comprende la sua cautela che va sempre più in contrasto con la voglia di rivalsa dello sceriffo Giles. Ma forse è ora che questi tre personaggi (Giles, Kyle e il reverendo Anderson) facciano attenzione ai percorsi da intraprendere in solitaria, a tutte quelle scommesse fatte con se stessi e a quei bivi varcati di notte mentre l'odio acceca la vista. Kyle ad un tratto dell'episodio parla di un patto e di sincerità, un sigillo d'unione che se rispettato potrebbe portare a cose nuove, ad un tono più interessante perfino per la serie. Identificare il bene, l'unione, il gruppo era una cosa che fino ad ora era mancata. Si sentiva il peso dell'assenza di quella specie di rispetto che il pubblico deve sempre avere nei confronti dei personaggi, quel senso di coesione. Outcast è una serie a tutti gli effetti fredda e che senza peli sulla lingua racconta le storie più tristi. E a volte la tristezza è così sussurrata che sì fa fatica a comprenderla. Ad esempio ciò che è successo a Megan e ciò che sta passando sua figlia Holly passa sullo schermo con una tale nonchalance che quasi si resta spaventati, ma ovviamente per il motivo sbagliato; il loro viaggio volto più al silenzio che alla comunicazione è infatti quasi emblematico per questa serie. Molti sguardi, azioni impulsive e poche parole. Un percorso complesso, forse sfruttato male anche a causa di un montaggio alternato che deve per forza raccontare di tutti senza raccontare pienamente ogni scena. Megan alla fine ritorna con sua figlia in un territorio pieno di ricordi tristi ma comunque sicuro, ossia a causa di sua madre. In quel luogo sempre caldo per gli ospiti e sempre tiepido per gli abitanti. Una costante che spesso sembra ritornare in Outcast. In conclusione con questo quarto episodio la serie creata da Robert Kirkman ha fatto un salto di qualità non indifferente e anche se è ancora presto per cantare vittoria sembra che le cose stiano prendendo la giusta piega, quella che all'inizio di questa stagione era stata completamente stropicciata dalla noia.