Outcast 1x10, "This Little Light": la recensione (Season Finale)

Ecco la nostra recensione dell'ultimo episodio della prima stagione di Outcast, serie con protagonista Patrick Fugit

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Nessuna sorpresa per il finale di stagione di Outcast, tutto quello che potevamo aspettarci c'è stato e quello che immaginavamo non ci venisse rivelato non c'è stato rivelato. Infatti succede poco e niente, o almeno scopriamo alcune cose interessanti su diversi personaggi, ma per quanto riguarda risposte dettagliate sull'oscura presenza demoniaca che si aggira per Rome o informazioni sulle origini del reietto sembra che dobbiamo ancora aspettare.

Già gli episodi precedenti ci avevano fatto predire questa cosa, e infatti è apparso abbastanza logico vedere Amber, la figlia di Kyle, con lo stesso frustrante potere del padre. This Little Light, questo il titolo dell'episodio, è una rincorsa continua tra i vicoli desolati e tristi di Rome. I personaggi si tallonano e non si allontanano troppo. Nonostante la ripetitività di alcune cose, ci si sente leggermente appagati dopo che si comprende in maniera più dettagliata il ruolo di Kat all'interno di questo invisibile gruppo capitanato da Sidney, presenza che in questi primi dieci episodi non è mai uscita dall'ombra.

In "Close To Home", qui la recensione, Kyle e il reverendo erano alla ricerca di Allison, ora i due danno la caccia a Sidney con lo scopo di ritrovare Megan. Quest'ultima, al momento, rimane il personaggio migliore della serie, il più sviluppato e stimolante. E infatti è lei che guida l'episodio attraverso una lenta transizione, nella quale stavolta cogliamo chiaramente il momento dell'abbandono di una parte dell'anima dal corpo per poi accoglierne un'altra, completamente vergine. La scena sul prato con l'acqua è forse la più riuscita dell'intero episodio perché racconta senza troppi fronzoli cosa accade passo dopo passo; l'effetto è come se un bambino appena nato si intrufolasse nel corpo di un adulto. A quel punto distinguiamo nettamente tre fasi: la nascita, la scoperta e l'accettazione.

Tutto questo, seppur molto interessante, ci viene raccontato in maniera frammentata o perlomeno in maniera prevedibile. La calma snervante con cui l'episodio svela le situazioni dà il tempo a noi di immaginare cosa sta effettivamente per succedere. Infatti, a nostro parere, è chiaramente una serie a cui manca l'effetto sorpresa, e che quindi non gioca con i colpi di scena, ma in un periodo come questo in cui siamo sovraccaricati di prodotti che vanno alla velocità della luce, Outcast può sembrare anomalo per alcuni e pretenzioso per altri. Ad esempio la morte di Mike o il momento in cui si svela il potere di Amber o ancora la scena in cui il reverendo incendia la casa in cui alloggiava Sidney hanno tutte un comune denominatore: l'immaginazione anticipata. Il che non è per forza un errore o un problema, ma quando il ritmo viene a mancare e si ha la voglia di scoprire cose nuove ma che non arrivano, la sensazione di estraniamento è forte. In tutto questo nella prima stagione quello che non ci ha realmente convinto è stato il personaggio dello sceriffo, mentre il personaggio più interessante e particolare è stato Aaron; l'intromissione all'interno di un mondo oscuro ma chiaramente attraente per un ragazzo problematico come lui ha qualcosa di profondo, e il rapporto con Sidney è assolutamente terrificante e privo di luce.

L'incomprensione e questa sorta di aria di mistero rimangono, ma semplicemente perché gli autori hanno deciso che non è ancora il momento di entrare nel dettaglio. Le menti dietro Outcast hanno fatto un altro tipo di lavoro, ossia comunicare attraverso l'immagine in un modo che non era mai stato usato. La fotografia e la scelta di alcune inquadrature, a volte anche esagerate e non dispensabili, ci parlavano dello stato emotivo di Kyle più di quanto facesse Patrick Fugit con la sua interpretazione. L'occhio ad esempio è un chiaro simbolo di ogni episodio, è il punto focale della serie, come se fosse una porta che si apre e si chiude e che cambia forma nel momento in cui arriva la presenza oscura. È un chiaro esperimento di una serie che vuole porsi come un prodotto di nicchia che non affronta gli esorcismi come è solito fare. Outcast è celebrale e racconta attraverso molti silenzi la frustrazione di essere impotenti di fronte ad alcune cose, ma nello stesso momento parla della paura di accettare qualcosa che non si conosce.

Per confrontarvi con altri appassionati della saga, vi segnaliamo la pagina Outcast – Italia.

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