Ouija: Le Origini del Male, la recensione
Con l'ingresso di Flanagan la saga della tavoletta malefica sale di grado e Ouija: Le Origini Del Male trova anche qualche momento memorabile
La vera notizia semmai è che questa volta a dirigere c’è Mike Flanagan, il talento rivelato da Oculus ma solo parzialmente confermato con i film successivi, che qui si impegna per trasformare una storia abbastanza banale (casa maledetta, bambini posseduti, presenze metafisiche, un prete che combatte con la famiglia) in un film di secondi piani e paura sottile.
Infatti Ouija - L’Origine del Male riprende molto quest’idea di tenere sullo sfondo molti eventi importanti. Film di truffe in cui una famiglia di ciarlatani, che finge di fare sedute spiritiche per soldi, si trova a contatto con una vera presenza, in realtà nasconde una storia più complicata. Indeciso tra un po’ di approfondimento dei personaggi in stile Carpenter, un po’ di period horror in stile L’Evocazione e ancora molto flanaganiano in come alterna diversi momenti e piani della storia, Ouija benché sappia mettere tensione non sempre la tiene tesa davvero.
Ancora una volta però l’impressione è che a vincere sia la produzione, cioè quest’idea tipica del nuovo cinema horror più che altro targato Blumhouse, che la casa sia un paesaggio, che le stanze, i corridoi e le scale siano foreste e deserti, luoghi in cui può accadere di tutto, posti che si deformano in grandezza, e possono essere ampiamente inesplorati. In Ouija un’avventura nello scantinato sembra una discesa all’inferno, un luogo noto che diventa subito ignoto. Su questi presupposti anche un film non pienamente riuscito come questo si tiene in piedi alla grande, e consegna anche qualche piccolo momento memorabile.