Ouija: Le Origini del Male, la recensione

Con l'ingresso di Flanagan la saga della tavoletta malefica sale di grado e Ouija: Le Origini Del Male trova anche qualche momento memorabile

Critico e giornalista cinematografico


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La tavoletta Ouija è una fissa della Blumhouse che non si è placata dopo il parco successo del film del 2014 (50 milioni di dollari che non sono considerabili un flop se il film ne è costato 5). Già presente nelle loro primissime produzione (Paranormal Activity) ora la tavoletta si è guadagnata anche il prequel ambientato negli anni ‘60. Ad essere corretti non si tratta di un vero prequel, perché non c’è un legame con l’altro film né è la tavola in sé a portare la maledizione attraverso gli anni. Ma tant’è.

La vera notizia semmai è che questa volta a dirigere c’è Mike Flanagan, il talento rivelato da Oculus ma solo parzialmente confermato con i film successivi, che qui si impegna per trasformare una storia abbastanza banale (casa maledetta, bambini posseduti, presenze metafisiche, un prete che combatte con la famiglia) in un film di secondi piani e paura sottile.

Forse questo ex-montatore passato alla regia ha imparato quanto ami lavorare di sfondi in Il Terrore Del Silenzio, film su una donna sordomuta in cui per rendere la maniera in cui lei non si renda conto di ciò che accade a meno che non lo veda spesso la tiene in primo piano facendo accadere qualcos’altro dietro di lei, come se non fosse importante (invece lo è).

Infatti Ouija - L’Origine del Male riprende molto quest’idea di tenere sullo sfondo molti eventi importanti. Film di truffe in cui una famiglia di ciarlatani, che finge di fare sedute spiritiche per soldi, si trova a contatto con una vera presenza, in realtà nasconde una storia più complicata. Indeciso tra un po’ di approfondimento dei personaggi in stile Carpenter, un po’ di period horror in stile L’Evocazione e ancora molto flanaganiano in come alterna diversi momenti e piani della storia, Ouija benché sappia mettere tensione non sempre la tiene tesa davvero.

Certo Flanagan non è il tipo della paura immediata, cioè non è un regista bravo con le sensazioni epidermiche, con l’immagine che crea terrore, è più un regista di atmosfera, abile a creare racconti complessi e la paura indeterminata che ne nasce, per questo qui si trova poco a proprio agio. Tuttavia la maniera in cui, quando il ritmo incalza, Ouija: Le Origini Del Male si trasforma in una specie di film d’azione, in cui alla paura è sostituito il ritmo, il modo in cui in certi momenti dosa il terrore non sono normali e valgono probabilmente il prezzo del biglietto.

Ancora una volta però l’impressione è che a vincere sia la produzione, cioè quest’idea tipica del nuovo cinema horror più che altro targato Blumhouse, che la casa sia un paesaggio, che le stanze, i corridoi e le scale siano foreste e deserti, luoghi in cui può accadere di tutto, posti che si deformano in grandezza, e possono essere ampiamente inesplorati. In Ouija un’avventura nello scantinato sembra una discesa all’inferno, un luogo noto che diventa subito ignoto. Su questi presupposti anche un film non pienamente riuscito come questo si tiene in piedi alla grande, e consegna anche qualche piccolo momento memorabile.

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