Le otto montagne, la recensione | Cannes 75
Ibrido di culture diverse del cinema, Le otto montagne è un film italiano pensato da una coppia belga che sfodera una sensibilità spiazzante
Che cosa rara un film italiano (una co-produzione sì ma a maggioranza italiana) che adatta un romanzo italiano, sceneggiato e diretto però da due autori stranieri, nello specifico belga, come Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, marito e moglie con radici europee e sensibilità americana nella messa in scena. Le otto montagne già produttivamente è quindi un ibrido creativo: storia italiana, svolgimento, idee e sensibilità profondamente europee che diventano un film girato con ambizioni da bromance americano. Tutto inusuale, una voce fuori campo quasi da Stand By Me (almeno nella prima parte in cui i due protagonisti sono bambini) e poi un uso delle musiche (e una selezione!) che non sarebbero mai venuto in mente ad un regista italiano, e ancora un modo di flirtare con il sentimentalismo, l’unione e l’ammirazione che a tratti fa quasi pensare ad esiti omosessuali. Non è questo il caso però, Le otto montagne non va a parare lì, l’amicizia virile la usa per raccontare personaggi e paesaggi.
Invece che bruciare come una grande fiammata Le otto montagne arde lentamente, non ha fretta e una fiducia encomiabile nella propria capacità di attirare e incuriosire con la montagna come outsider di lusso in una relazione mai prevedibile ma sempre reale. Recitato in sottrazione il film sa commuovere anche con una telefonata intercontinentale in cui non vediamo bene il volto di nessuno dei due coinvolti, con una voce fuori campo o con un’inquadratura senza persone. Sempre emotivo, mai smielato.
Così alla fine, come avviene per i grandi film, Le otto montagne rischia anche di modificare in molti le sensazioni associate a quei veri paesaggi.