Orphan, come La Guerra dei Mondi, ma senza batteri a salvarci – Recensione

Un platform 2D che ci racconta dell’estinzione della razza umana: la recensione di Orphan

Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".


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La Guerra dei Mondi, Signs, Oblivion, Ultimatum alla Terra e, naturalmente,Limbo e Inside. Le fonti d’ispirazione di Orphan sono molteplici, facilmente individuabili, tutt’altro che celate all’occhio dell’esperto di fantascienza e platform 2D indie. Non è una tirata d’orecchi allo sviluppatore del gioco, Windy Hill, uomo solo al comando, quanto un plauso, prima tra le molte lodi che si merita la sua intrigantissima creatura, capace di arroccarsi attorno ad un plot di per sé poco originale, ma sviluppato e raccontato con estrema efficacia.

Dell’invasione della Terra da parte di una razza aliena ostile e della conseguente fine dell’umanità,ne verrete a conoscenza a cose fatte, all’interno di un gigantesco vascello spaziale geostazionario, vestendo le fattezze di un bambino letteralmente ricostruito da extraterrestri apparentemente amichevoli, utilizzando resti di DNA raccolti sul pianeta stesso.

[caption id="attachment_192125" align="aligncenter" width="1000"]Orphan screenshot L’assenza di una mappa farà sì che in un paio di occasioni smarrirete la strada[/caption]

Ad attendervi non ci sarà alcun ritorno trionfale sul pianeta natio con l’obiettivo di scacciare i prepotenti invasori, né l’intento di trovarsi un'altra roccia cosmica da colonizzare per far rifiorire la nostra specie. L’avventura vera e propria, difatti, si compone di una serie di sconfortanti ricordi in cui il clone rivivrà le ultime ore di vita dell’essere umano di cui è copia esatta."Nei vari flashback in cui prenderete direttamente il controllo della situazione, avrete a che fare con un platform 2D che strizza l’occhio ai Metroidvania"

Questa inusuale prospettiva infonde un malinconico quanto desolante sapore all’intreccio narrativo. La certezza di correre verso un finale già noto, totalmente indipendente dall’impegno profuso dal videogiocatore, deciso ancor prima di iniziare, dona un carattere espressamente romantico alla trama. Un paio di colpi di scena ben riusciti, inoltre, rivitalizzano a cadenza regolare quella che resta, tuttavia, un’avventura dal respiro relativamente corto, visto che potrete completarla nel giro di cinque, sei ore al massimo.

Nei vari flashback in cui prenderete direttamente il controllo della situazione, avrete a che fare con un platform 2D che strizza l’occhio ai Metroidvania. Come recita la formula di questo genere di giochi, a fronte di un mondo di gioco liberamente esplorabile in lungo ed in largo, solo dopo aver ottenuto specifici oggetti potrete tornare sui vostri passi per imboccare un sentiero fino a poco prima bloccato.

Il level design non è particolarmente sviluppato, beninteso, ma il gameplay pone volutamente il focus su altro. L’avventura, non a caso, è fondamentalmente bipartita in due momenti ben distinti tra loro.

Nella prima parte dovrete pensare a sopravvivere scivolando alle spalle dei robot di guardia che pattugliano la zona. Tenendo sempre sott’occhio l’indicatore che segnala il rumore prodotto e quello relativo alla vostra visibilità, per lo più si tratterà di ripararsi dietro alle rocce o appiattirsi sotto il manto erboso, aspettando di essere abbastanza lontani dai nemici per sgattaiolare un po’ più in là. Torcia elettrica e borraccia, in questo senso, torneranno utili per farsi strada nell’oscurità e per recuperare l’energia perduta.

Non appena entrerete in possesso di alcune armi, tuttavia, potrete abbandonare qualsiasi reticenza ed affrontare a muso duro gli ostili, scaricandogli addosso quantità di plasma in abbondanza. Il ritmo, in linea generale, resta compassato, beninteso, ma soprattutto quando vi si pareranno di fronte giganteschi boss, sarete testimoni di alcune fasi particolarmente concitate e assolutamente emozionanti.

Una certa latenza del sistema di controllo, unito al già citato level design non proprio eccelso, mortificano in parte le ambizioni di Orphan, altrimenti proiettato verso ben altri risultati, ma si tratta di limiti mai eccessivamente penalizzanti, tanto più se si considera che Windy Hill ha equipaggiato la sua creatura di un art design di tutto rispetto.

[caption id="attachment_192126" align="aligncenter" width="1000"]Orphan screenshot Nel corso dell’avventura dovrete affrontare e risolvere alcuni puzzle ambientali. Nulla di particolarmente complicato, ad ogni modo[/caption]

Visivamente il modello di riferimento è chiaramente Limbo. Le sagome in primo piano di ambientazioni e personaggi rimandano al capolavoro di Playdead, ma Orphan se ne distingue proponendo fondali colorati, da cui sgorgano effetti luce spesso stupefacenti. La colonna sonora, inoltre, rincara la dose di malinconia già espressa dalla trama, andando a comporre momenti piuttosto emozionati e carichi di pathos.

Orphan è un piccolo platform assolutamente sorprendente. Non è certamente tra i giochi più originali con cui abbiamo mai avuto a che fare, ma propone una trama ottimamente scritta ed un gameplay che pur non eccellendo in alcun ambito, è sufficientemente profondo per intrattenere più che degnamente. Delizierà soprattutto gli amanti della fantascienza e chi non vedeva l’ora di mettere le mani su un gioco del tutto simile a Limbo.

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