Orion e il Buio, la recensione
L'incontro fra Charlie Kaufman e DreamWorks convince, accontentando sia i fan del primo sia chi cerca "solo" un film per ragazzi intelligente
La recensione di Orion e il Buio, il nuovo film diretto da Sean Charmatz, in streaming su Netflix dal 2 febbraio.
In fondo è l’ennesimo problema di adaptation, tema che in Kaufman lega da sempre l’artistico e l’esistenziale. “Adattare” il libro di qualcun’altro, accettando di liberarsi del proprio solipsismo, corrisponde ad “adattarsi” in senso darwiniano; sopravvivere, incontrare la vita, uscire dalla prigione del proprio incessante monologo interiore. È quello che fa – ancora una volta – Kaufman, uscendo dalla sua comfort zone per confrontarsi con l’animazione per ragazzi. Ed è quello che fa il piccolo protagonista Orion (Jacob Tremblay), bambino terrorizzato da tutto, che una sera nella sua cameretta incontra il Buio (uno straordinario Paul Walter Hauser)e si fa condurre da lui in un viaggio incredibile alla scoperta della poesia della notte.
Non è casuale che questo avvenga in casa DreamWorks, da sempre il più apertamente “adulto” (che non vuol dire intelligente) dei grandi studi americani d’animazione. Da quando Shrek e Z la formica rompevano le convenzioni della fiaba disneyana a colpi di cinismo e citazioni postmoderne, fino alla lotta fra Natura e Modernità di Madagascar – tema veramente “kaufmaniano” - i semi di Orion non stanno solo nella testa di un grande sceneggiatore, ma in un percorso decennale che tante volte ha toccato temi simili da dentro le logiche del cinema pop, e a cui oggi si aggiunge un nuovo affascinante tassello.