Orfani – Ringo: Chiamata alle armi, la recensione

Abbiamo recensito per voi Orfani – Ringo: Chiamata alle armi, di Roberto Recchioni e Marco Greganti

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Orfani – Ringo: Chiamata alle armi è un romanzo tratto dal fumetto lanciato da Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari nell'ottobre del 2013. Uscito per Multiplayer Edizioni il 23 maggio scorso, è stato presentato in anteprima all'ultima Lucca Comics & Games. Chiaramente ispirato al concetto di light novel giapponese, questo spin-off in prosa si colloca temporalmente tra la prima e la seconda stagione di Orfani pubblicate da Sergio Bonelli Editore. L'opera ha come soggetto gli “anni perduti” di Ringo e svela alcune avventure svoltesi lungo il suo peregrinare sulla Terra dopo il durissimo scontro fratricida conclusosi in Rock ‘N Roll, evento che lo ha reso l'unico superstite della sua squadra originale.

Un paio di pagine in apertura di Venne alla spiaggia un Pistolero - il primo dei tre atti che compongono il volume - introducono a favore di chi non ha mai letto il fumetto la triste era post-apocalittica in cui è sprofondato il nostro pianeta: non esiste speranza per la nostra razza, se non quella di abbandonare la Terra per Nuovo Mondo. A governare le sorti di questo esodo biblico è la geniale e spietata Jsana Juric, Presidente del Governo Straordinario di Crisi; chi non si piega al suo volere è considerato un nemico e un terrorista, e, in virtù di questo, Ringo è di certo il nemico pubblico numero uno.

Recchioni dipinge una figura caratterialmente e fisicamente statuaria, colossale. Ringo risulta molto più imponente e massiccio di come siamo abituati a vederlo nelle tavole delle varie stagioni di Orfani, con Mammucari che ne cattura l'essenza in straordinarie immagini, fotogrammi che scandiscono l'intera vicenda. Braccato dall'esercito e da squadre speciali, Ringo è un super-soldato alla Capitan America, dotato di un fisico più forte, resistente e scattante di un normale essere umano; i suoi sensi e i suoi muscoli sono iper-sviluppati ed è in grado di utilizzare con enorme efficacia qualunque arma, perfino dei semplici sassi, rendendosi micidiale nel corpo a corpo come Deathstroke, ma è anche un vendicatore come Kenshiro.

Nella seconda parte, Il Pistolero attraversa la pianura, scritta in collaborazione con Marco Greganti, i deboli e gli indifesi da proteggere non sono anziani come il pescatore della storia precedente, ma famiglie con donne e bambini, tutti passeggeri di un pullman sgangherato diretto verso ciò che resta delle regioni più accoglienti del globo. La minaccia nel deserto può nascondersi ovunque, magari priva delle temute insegne militari ma altrettanto pericolosa e feroce. Il terzo e ultimo capitolo, Il Pistolero arriva alla montagna, è invece il più lungo e intenso a livello emotivo: Ringo viene accolto da una comunità di minatori indipendenti che non intendono lavorare per il governo - gestore dei giacimenti più estesi di tantalio, indispensabile per l'elettronica delle astronavi - e che tantomeno si piegano ai soprusi delle compagnie private senza scrupoli come Italtanium, che bramano le riserve minori del prezioso minerale.

In ognuno dei tre episodi, Recchioni ci mostra in coloro che vengono difesi da Ringo diversi modi di concepire la vita e la libertà; sono accomunati tuttavia dal fatto di essere individui fondamentalmente innocenti, qualità che probabilmente il protagonista non ha mai avuto e che in qualche modo invidia loro, tanto da rischiare tutto pur di proteggerli. Questa chiave di lettura crediamo possa essere il filo conduttore che unisce le tre vicende, concatenate sì da un punto di vista cronologico e di congruenza narrativa, ma distanti nel loro insieme dal tradizionale concetto di romanzo.

Quelli che vengono presentati su queste pagine sono infatti tre eventi distinti e indipendenti, non c'è una trama unitaria, né un vero e proprio inizio o una fine, non c'è un punto di crisi né un climax. Recchioni sa bene come usare questi elementi, ne ha dato prova con l'ottimo Ya - La battaglia di Campocarne; ma rispetto al suo primo libro, qui adotta uno stile più asciutto, tanto nei dialoghi quanto nella narrazione degli eventi, dando il meglio in ambito descrittivo. Queste pagine così veloci e fruibili appaiono quelle di una sceneggiatura tanto ricca, elegante e ordinata da essere divenuta una moderna novella: una scelta strumentale e funzionale ai contenuti.

Va detto che Orfani – Ringo: Chiamata alle armi non aggiunge granché a ciò che sapevamo dell'ex Pistolero, non svela importanti brandelli del suo passato; è più la celebrazione e l'esaltazione particolarmente cruda ed estrema di quanto già noto del miglior personaggio concepito da Recchioni, al pari del vampiro Pietro Battaglia.

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