Orfani - Ringo 9: Tabula rasa, la recensione

Tabula Rasa è un albo dirompente che segna per stile e contenuti uno stacco notevole rispetto allo standard della seconda stagione di Orfani: Ringo

Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.


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Tabula Rasa è un albo dirompente, che segna per stile e contenuti uno stacco notevole rispetto allo standard della seconda stagione del fumetto di Roberto Recchioni ed Emiliano Mammucari. Lungo il loro viaggio-fuga attraverso i resti e le città in rovina del nostro ex Bel Paese, i protagonisti hanno affrontano varie insidie, incontrando losche figure o quantomeno bizzarre. Mai però come gli squinternati che rappresentano la minaccia più ostica di sempre per i tre giovani amici e il loro mentore.

Siamo nel nord della penisola italiana, in una spettrale e fredda Pianura Padana, soffocata da un'eterna pioggia di cenere radioattiva. L'atmosfera è tesa, lugubre, già nelle pagine introduttive. La squadra di sbandati che incrocia il cammino dell'ex Pistolero non ha nulla dello scanzonato gruppo di ragazzi conosciuto non molto prima, in Bambini contro. Il nostro antieroe ha la peggio, venendo catturato insieme ai compagni. C'è un ché di perverso e diabolico nei loro carcerieri, una via di mezzo tra i briganti che imperversano in Ken il guerriero e le sinistre comunità organizzate di The Walking Dead. È forse la storia più cruda e raccapricciante di Orfani: Ringo, in cui la fantascienza, genere d'appartenenza della collana, è completamente annullata in un soggetto squisitamente horror.

Il salto di registro narrativo di questo numero, senza dubbio coinvolgente, viene esaltato dal tratto particolarmente nervoso di Matteo Cremona, che si fa meno nitido, quasi deformato, per accompagnare la ficcante sceneggiatura di Mauro Uzzeo in un crescendo drammatico. Se c'è un elemento di coerenza che lega questo episodio ai precedenti, è l'atomicità della trama che caratterizza il sequel di Orfani. Ognuno dei primi dodici atti di quella serie era parte di uno sviluppo omogeneo e coerente, un tassello, che contribuiva al raggiungimento del gran finale. Qui, ogni avventura fa quasi capo a sé.

L'imprevedibilità dell'intreccio resta una costante, ma mentre nella saga precedente era imbrigliata in un disegno ampio, ora appare circoscritta al singolo capitolo. A tre mesi dalla conclusione della fase 2 del progetto, si sa nulla o poco più rispetto all'esordio. Nessuno dei grossi interrogativi iniziali ha avuto una risposta o almeno un'evoluzione. Il vero colpo di scena che spariglia, che sconvolge le logiche dell'intreccio ma lo complica, arriva in questo volume.

Sarà il punto di svolta che darà senso al tutto? Il meglio o magari il peggio di Orfani: Ringo è ancora da venire. Recchioni sembra avercelo riservato per i prossimi, ultimi episodi, con mestiere, perché ormai anche il lettore è dentro il gioco, non ne ha compreso bene le regole, ma vuole sapere di cosa si tratta e come andrà a finire.

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