Orange is the new black (prima stagione): la recensione
La recensione dello show di Netflix, un dramma carcerario al femminile che per certi versi ricorda OZ
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Perché Netflix lo scorso anno è stata senza dubbio rappresentata da House of Cards, e certamente anche la quarta attesissima stagione di Arrested Development si è presa la sua dose di attenzioni, ma non c'è davvero motivo per non permettere alla serie ideata da Jenji Kohan di godersi il suo momento sotto i riflettori. Orange is the new black, dramma al femminile, con le sue storie, i suoi caratteri, il suo piccolo universo colorato dell'arancione delle tute carcerarie e del nero della commedia oscura con cui vengono narrate, è decisamente un progetto da riscoprire e da seguire.
Oz era la genesi della HBO, e forse anche di un nuovo corso. Questo è un nuovo corso ancora, che inizia da qui e che, coincidenza o meno, passa ancora da un dramma carcerario. Ma Orange is the new black è davvero un dramma? Rispetto a OZ certamente di meno. È meno violento, meno "drammatico", si concede più spesso alla risata a denti stretti da black comedy, al godimento della trovata surreale, talmente fuoriposto pur nella sua drammaticità da scatenare l'effetto opposto e farci ridere, come quando la nostra protagonista Piper, in difficoltà nell'ambientarsi, commette una leggerezza imperdonabile. È il Tobias Beecher della nostra storia. Non è un caso che la sua vicenda, iniziata dopo il suo costituirsi per traffico di droga, si dipani attraverso lo smarrimento iniziale e ci racconti il suo ambientarsi con le altre prigioniere.
Se in OZ ogni personaggio gettato nella mischia veniva rapidamente assorbito dalle dinamiche di gruppo e dalle gang (irlandesi, siciliani, musulmani, "ariani"), qui si tende a mantenere una certa individualità. È bella a questo proposito l'anima "femminile" della storia. Dove nel carcere degli uomini l'unica complicità ammessa era quella legata al gruppo di appartenenza e alle sue caratteristiche, mentre per il resto era guerra di tutti contro tutti, qui c'è più spazio per una maggiore "umanità", per una maggiore e diversa "sensibilità" (termini rigorosamente tra virgolette e da prendere con le molle). Non si può raccontare la storia di ogni singola carcerata per motivi di spazio, ma si tratta di storie curate, ben raccontate, che si prendono il loro tempo e che prendono vita attraverso personaggi ben caratterizzati, sviluppati e interpretati.
Proprio questa fusione tra commedia e dramma potrebbe dare qualche fastidio a chi si aspettasse un prodotto più crudo e diretto. In realtà sono quasi sorprendenti, una volta vista la prima stagione, le polemiche e le discussioni scatenate dall'elemento del lesbismo nella serie. Non si tratta di troppe scene, e francamente né il modo in cui vengono mostrate né il modo in cui sono integrate con lo show lascia spazio a polemiche e discussioni che, da questo punto di vista, appaiono o sterili o davvero insensate. Orange is the new black nonostante tutto è innanzitutto uno show godibile e molto meno "grave" di altre produzioni attuali.