Orange is the New Black (quarta stagione): la recensione

Quarta stagione per la serie di Netflix: Orange is the New Black fa un passo in avanti rispetto allo scorso anno, anche grazie al suo straordinario cast

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Grottesco, femminile e molto, molto arancione, è il penitenziario di Litchfield, che torna con le sue detenute fuori di testa nella quarta stagione di Orange is the New Black. Sono tredici episodi che arrivano su Netflix gravati da una notizia che poteva avere un certo peso sulla storia: la serie di Jenji Kohan è stata rinnovata fino alla settima stagione. Una sicurezza non da poco, che però poteva frenare lo sviluppo della trama e dei personaggi o intimorire su alcune scelte drastiche. Nulla di tutto questo. Nel bene e nel male, questa è una stagione che vive sugli eventi della precedente, che porta avanti alcune storie, ne conclude bruscamente altre, ne crea altre ancora. Il risultato è una serie che come sempre fa del cast corale il suo punto di forza. Archiviata la terza stagione come la più debole, questa rappresenta un passo in avanti.

Si riparte esattamente nello stesso istante in cui si era conclusa la terza stagione, con il carico di nuove detenute pronte a portare squilibrio nella prigione e le carcerate storiche a farsi il bagno nel lago. Dallo sguardo di Piper alla sfida con Vee fino alle molte storie dello scorso anno, stavolta Orange is the New Black sceglie di focalizzarsi ancora di più sui gruppi: nere, dominicane, bianche. L'elemento "razziale", proprio perché ha molto a che fare con il razzismo, è importante e ricorrente nella stagione, ed è in fondo il motore di tutte le storie più importanti. Aumentano molto le dominicane, che si coalizzano e intralciano il commercio di mutandine di Piper, che a sua volta dovrà reagire.

Ogni momento più teso e drammatico della stagione si può ricondurre a contrasti

Non entreremo più di così nel dettaglio, ma ogni momento più teso e drammatico della stagione si può ricondurre a contrasti di questo tipo. L'identità personale però è sempre forte, e sono le singole carcerate, con i loro percorsi e i loro flashback, a dare forza agli eventi. Se Alex, Doggett, Sophia, Dayanara, Norma sono più defilate, soprattutto perché erano state più protagoniste lo scorso anno, stavolta a farsi avanti sono Suzanne, Tasha, Poussey, Maritza e il gruppo delle dominicane. Grande spazio anche a Caputo e alle guardie in generale, che saranno protagoniste dei tanti cambiamenti nella prigione.

Orange is the New Black non è mai stata una serie drammatica in senso stretto. Non soltanto ci sono un senso del grottesco e vari momenti sopra le righe creati appositamente per far ridere, ma tutta una serie di eventi vengono raccontati e riletti sotto una certa luce che serve a scatenare la risata per il senso dell'assurdo. Quindi è il tono del racconto che definisce i suoi eventi, e non il contrario. Quest'anno, più di altri, abbiamo avvertito che questo tono così al limite a volte è sfuggito al controllo. Da un lato è positivo perché una seconda metà di stagione più seria ci arriva con più forza dopo tanti momenti leggeri, ma dall'altro il senso dell'assurdo, i caratteri forzatissimi (una guardia normale non esiste), alcune svolte e caratterizzazioni ad hoc, ne escono soffocate quando non spiazzanti.

Responso negativo quindi? Non proprio, anzi la stagione ha più luci che ombre e sicuramente migliora quanto fatto vedere lo scorso anno. Orange is the New Black ha cuore, uno stile riconoscibile, e il cast migliore che si possa trovare oggi in tv in rapporto alla quantità di attori (attrici in questo caso). Si arriva ad empatizzare con i personaggi con grande facilità, ci sono alcuni momenti da fitta al cuore e l'emozione, quando arriva, è sincera e mai ricattatoria.

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