Operazione U.N.C.L.E., la recensione

Perfetto calco della coolness degli 007 degli anni '60 ma postmoderno nel suo sguardo ironico, Operazione U.N.C.L.E. è una chicca quasi sperimentale

Critico e giornalista cinematografico


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Questa recensione va iniziata con una rettifica. Qualche mese fa avevamo visto delle scene di Operazione: U.N.C.L.E. in anteprima e vi avevamo raccontato le prime impressioni. Sono da buttare.

Alle volte è possibile da qualche scena capire il tono di un film, altre volte no e questo è il caso. Le medesime sequenze (alcune delle quali parevano appassionanti, altre molto meno) inserite nel flusso di questo film privo di tempi morti cambiano totalmente tono e passo. Anche le più sceme e classiche perchè troppo adagiate su stereotipi da cinema di spionaggio, acquistano un significato diverso inserite in un film dal passo rapido e dalle tante trovate com'è Operazione: U.N.C.L.E..

Operazione: U.N.C.L.E. fa un lavoro particolarissimo sul montaggio e sul racconto

Ancora di più avevamo detto che il film, cosa stranissima, non ha lo stile di Guy Ritchie. Anche questo non è vero. Se in effetti le singole scene non sono montate con quella frenesia che conosciamo da Lock & Stock e Sherlock Holmes, è invece tutto il film ad essere montato in maniera anticonvenzionale, non le singole inquadrature ma la maniera in cui le varie sequenze sono correlate. Operazione: U.N.C.L.E. fa un lavoro particolarissimo sul montaggio e sul racconto, sembra iniziare in media res e finire prima della fine effettiva, sembra gli sia stata tolta almeno mezz'ora di inutili scene di transizione. Il risultato è al limite del delirante, molto cool, molto anni '60 come l'ambientazione richiede. Lo stile Ritchie c'è e anzi è portato ad un altro livello.

Operazione: U.N.C.L.E. è un film che lavora profondamente sulla coolness anni '60, per avvicinarsi allo standard aureo degli 007 di Terence Young come nessuno dei moltissimi film che ci hanno provato negli ultimi anni è riuscito a fare (Henry Cavill replica la fissità imperturbabile di fronte a qualsiasi avversità di Connery), eppure è ha tutto il disincanto postmoderno. Invece che la serie tv da cui prende le mosse, il suo obiettivo è da subito il cinema. Attuale nella concezione formale, pare aver superato totalmente l'esigenza di un racconto convenzionale, massacra preliminari e chiuse per andare al dunque. Sbriciolate le sicurezze di uno spettatore che è comunque cullato dalla serenità di una patina lucida e da un look vintage rassicurante, Ritchie gli propone un pasticcio che sarebbe sperimentale se non gestisse personaggi volutamente convenzionali e ironicamente stereotipati. Il postmoderno, insomma, non è mai sembrato così dolce ed esplicito.

Miracolosamente il terzetto protagonista (Cavill, Hammer e Vikander) non sbaglia un'interazione, i tre sembrano diretti come mai in vita loro e danno il meglio, con una chimica e dei tempi perfetti, la specialità di Ritchie. La storia chiaramente gira dalle parti di un complotto internazionale che mette a repentaglio il pianeta con fumettistiche esagerazioni e paradossali ville sul mare dell'Italia da sogno della riviera campana. Tutto funziona come in una pubblicità Martini a cui viene impresso il ritmo e la godibilità di un videoclip degli anni '90. Forse un simile pasticcio raffinato potrebbe non accontentare nessuno, nè gli spettatori più grossolani che preferiscono una parodia meno raffinata e più d'azione come Kingsmen, nè gli affezionati dell'originale (lo 007 di Connery) che potrebbero non gradire tutta l'ironia verso ciò che invece amano prendere seriamente. Lo stesso Operazione: U.N.C.L.E. è una vera chicca, se la serie dovesse diventare un franchise con questo tono sarebbe una piccola conquista per il cinema commerciale.

Operazione U.N.C.L.E.

C'è poi un capitolo a parte e riguarda Elizabeth Debicki che nel film interpreta Victoria Vinciguerra e, assieme al marito, è il villain di tutta la storia. È la seconda volta ad un ruolo in un film importante (ha 25 anni), prima di questo era nel cast di Il grande Gatsby, versione Luhrmann, e per la seconda volta impone se stessa al di là di qualsiasi marginalità della propria parte. Raramente capita di vedere attrici di questo tipo, che ad una recitazione impeccabile (non certo una caratteristica esclusiva nel panorama internazionale) associa una presenza scenica di rara potenza. Il suo corpo attira lo sguardo, i suoi movimenti e le sue espressioni non hanno nulla di normale e sembrano giocare con l'obiettivo un partita al rilancio, come se ogni volta riuscissero a dire qualcosa di più in maniera unica. Ha dei movimenti che sono solo suoi, non usa nessuna tecnica che abbiamo già visto, non fa nulla di normale. Anche solo quando si sdraia o si sporge in avanti lo fa con posture e gesti peculiari.

Elizabeth Debicki ha la caratteristica delle grandissime attrici e dei grandissimi attori: attirare al di là del proprio fascino, attirare lo sguardo e costringere lo spettatore a guardare loro anche in una scena affollata. Dotata di un ritmo e di un'eleganza naturali, per la seconda volta viaggia ad un'altra velocità rispetto al cast che la circonda e, anche se comprimaria nella storia, è protagonista nell'occhio dello spettatore.

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