Operazione Kandahar, la recensione

Nel classico stile del cinema di guerra in Medio Oriente Gerard Butler cerca con Operazione Kandahar una specie di redenzione che non arriva

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Operazione Kandahar, il film con Gerard Butler in uscita il 24 agosto su Prime Video

In teoria si parla della zona indiana, quindi dei confini tra Iran e Pakistan e poi Pakistan e India, tra Medio Oriente e Asia quindi, che tuttavia nel filtro usato e nella color correction di Operazione Kandahar diventano Medio Oriente e basta. Tutto il film è filmato, raccontato e immaginato con le convenzioni, gli stili e gli scenari del cinema di Afghanistan, di guerra mediorientale degli ultimi 15 anni. In particolare, a voler essere precisi, questo èThe Covenant di Guy Ritchie, più semplice e meno compatto. Soprattutto è il The Covenant di Gerard Butler, quindi tagliato con l’accetta per un pubblico di bocca buona, con personaggi ben più semplici e diretti e poche chiacchiere (e quando pure ci sono, mi raccomando, frasi corte e parole semplici).

Come in quel film anche in questo c’è un percorso da fare di un agente addestrato e capace con il suo interprete. È in realtà un classico che risale al western, il gruppo che mescola persone capaci a persone meno capaci (anche Indiana Jones e l’ultima crociata sfruttava magistralmente questa dinamica), le seconde sono un peso nelle situazioni pericolose (e forniscono tensione aggiunta) ma si rivelano una risorsa dal punto di vista della morale e dell’etica. Per Gerard Butler, come sempre, la fibra morale è un concetto semplice che si declina sulle assi di onore, rispetto, famiglia e forza. A prescindere da schieramenti e religioni (il suo interprete è musulmano) c’è il legame tra uomini, non importa se vengono da culture diverse, importa che combattano i nemici degli americani secondo le regole degli americani.

E così è. Per tutto il tempo ci si scontra con il nemico per antonomasia, trafficanti e signori della guerra, gente senza scrupoli e abietta come si conviene, lasciando di tanto in tanto delle tracce che strizzano l’occhio al pubblico di riferimento (“Mi licenzino pure” dirà ad un certo punto un burocrate americano che segue tutto da lontano e non dovrebbe impicciarsi di questa operazione da tenere segreta “non vedrò morire nemmeno un altro dei nostri!”). Tutto secondo le regole di questo tipo di film ma con molta meno ragionevolezza (che è un problema secondario) e troppa poca capacità di fare vera azione (che è invece il punto di tutto).

Ric Roman Waugh è quello di Attacco al potere e Greenland, ha stretto una specie di sodalizio con Butler all’insegna della semplicità i cui termini non è difficile immaginare che siano più o meno: “Tu non fare domande, io farò arrivare i soldi per la produzione”. Così avviene con una certa regolarità e Operazione Kandahar non fa eccezione. Butler si è dato anima e corpo da qualche anno al cinema d’azione di serie B classico e ogni tanto mette a segno dei colpi non male (The Plane), questo non è uno di quelli. Ma come sempre in questi casi l’importante è fare, continuare a muoversi, tentare e portare avanti un genere e un tipo di cinema che si nutrono di una produzione industriale.

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