Operazione Kandahar, la recensione
Nel classico stile del cinema di guerra in Medio Oriente Gerard Butler cerca con Operazione Kandahar una specie di redenzione che non arriva
La recensione di Operazione Kandahar, il film con Gerard Butler in uscita il 24 agosto su Prime Video
Come in quel film anche in questo c’è un percorso da fare di un agente addestrato e capace con il suo interprete. È in realtà un classico che risale al western, il gruppo che mescola persone capaci a persone meno capaci (anche Indiana Jones e l’ultima crociata sfruttava magistralmente questa dinamica), le seconde sono un peso nelle situazioni pericolose (e forniscono tensione aggiunta) ma si rivelano una risorsa dal punto di vista della morale e dell’etica. Per Gerard Butler, come sempre, la fibra morale è un concetto semplice che si declina sulle assi di onore, rispetto, famiglia e forza. A prescindere da schieramenti e religioni (il suo interprete è musulmano) c’è il legame tra uomini, non importa se vengono da culture diverse, importa che combattano i nemici degli americani secondo le regole degli americani.
Ric Roman Waugh è quello di Attacco al potere e Greenland, ha stretto una specie di sodalizio con Butler all’insegna della semplicità i cui termini non è difficile immaginare che siano più o meno: “Tu non fare domande, io farò arrivare i soldi per la produzione”. Così avviene con una certa regolarità e Operazione Kandahar non fa eccezione. Butler si è dato anima e corpo da qualche anno al cinema d’azione di serie B classico e ogni tanto mette a segno dei colpi non male (The Plane), questo non è uno di quelli. Ma come sempre in questi casi l’importante è fare, continuare a muoversi, tentare e portare avanti un genere e un tipo di cinema che si nutrono di una produzione industriale.