Onward - Oltre la magia, la recensione | Berlinale 2020

Mascherato da film Dreamworks, Onwards non riesce a contenere la sua anima Pixar che sfugge da tutte le parti più si avvicina al gran finale

Critico e giornalista cinematografico


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ONWARD - OLTRE LA MAGIA, DI DAN SCANLON: LA RECENSIONE

Onward - Oltre la magia aveva sulla carta tutte le caratteristiche per essere un film firmato DreamWorks Animation.

Nonostante sia scritto e diretto da un prodotto del vivaio Pixar (Dan Scanlon, responsabile di Monsters University ma già dentro lo studio in vari ruoli dai tempi di Gli Incredibili), è un film in cui tutto pare realizzato per puntare sulla facile simpatia e la facile avventura, sugli affetti fondamentali e tutte quelle dinamiche terra terra su cui lavorano gli altri studi mentre la Pixar è impegnata ad immaginare l’inimmaginabile.

Il mondo fantasy di Onward - Oltre la magia, fatto di unicorni, elfi, goblin e via dicendo viene cambiato dalla tecnologia. L’elettricità soppianta la magia e in qualche secolo i suoi abitanti diventano come noi: dotati di telefoni cellulari e televisori, automobili e ristoranti per famiglie. La magia e tutto il mondo ancestrale sono solo un ricordo di pochi, una leggenda. E le leggende le conosce tutte Barley, fratello maggiore del protagonista Ian, irrealizzato appassionato di arti antiche, avventure, stregoni, guerrieri eccetera. Collezionista di carte da gioco con guerrieri e punteggi, costruttore di modellini delle battaglie e padrone fiero di un furgone scassato con un unicorno disegnato sopra.

Tutto è una velleità almeno fino a che, nel giorno del 16esimo compleanno di Ian, i due non scoprono che anche il loro padre (morto alla nascita del secondo figlio) era appassionato di magia antica e aveva previsto un incantesimo da realizzare per poter passare un giorno con loro. L’incantesimo riesce parzialmente e i due hanno 24 ore per trovare una gemma magica che lo porti a termine. In poche parole, devono vivere una vera avventura in un mondo che ha dimenticato cosa siano basandosi solo su antiche leggende.

Ci sono le corse e ci sono le musiche, ci sono le battute divertenti e le boccacce. C’è un viaggio con diverse prove e regolarmente ciò che viene imparato nelle singole prove sarà utile alla fine per dimostrare la maturazione avvenuta. Insomma un facile film DreamWorks Animation modellato su tutto ciò che ha già avuto successo. Non fosse per quel classico mondo Pixar in cui tutto è come nel nostro ma tematizzato con il fantasy (come in Cars era tematizzato con le auto e in Monsters University con i mostri). Non fosse per quella strana strisciante sensazione che monta al procedere del film: la sensazione di stare davvero assistendo a una grande avventura tra due fratelli. Non fosse per quella missione così romantica e importante: rivedere il padre anche solo per un secondo. Non fosse per il fatto che è Pixar nell’anima.

Questa storia maschile oltre ogni dire, anche se costellata di personaggi femminili a ogni angolo, è un coming of age anni ‘80, un adventure movie stile I Goonies, in cui capire qualcosa di sé, maturare e stringere legami. Ma lo è con una tale schiettezza emotiva da cancellare in un attimo qualsiasi paragone con la DreamWorks. Invece di avere dei passaggi obbligati questo film usa la scansione classica sapendo dare un peso a ogni svolta, una commozione a ogni decisione necessaria e ineluttabile. Ci riesce principalmente perché centra il fratello maggiore, Barley, entusiasta di tutto, scavezzacollo e dalla frenesia impossibile da contenere, un Jack Black dei primi anni 2000.

Attaccato al suo furgone che considera un destriero, noncurante di sembrare ridicolo con la sua fissa per il fantasy (il particolare più bello è che al posto della D di Drive sul cruscotto della macchina ha appiccicato una O come Onward), Barley è il vero grande eroe del film, l’unico che crede in un mondo ideale, l’unico ad aver maturato una conoscenza che farà la differenza. L’unico, lo scopriremo alla fine, ad avere davvero bisogno di quell’avventura.

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