One More Time, la recensione
Ciò che è frustrante è il modo in cui la nostra consapevolezza di ciò che deve succedere supera l’intelligenza del personaggio, insieme alla svogliatezza del non cercare mai l’originalità pur essendo consapevole di essere ‘uno dei tanti loop’.
La recensione di One More Time, su Netflix dal 21 aprile
Diretto da Jonatan Etzler, One More Time già dal titolo parla chiaro: quello che chiede Amelia (Hedda Stiernstedt) è di avere ancora una possibilità. Arrivata al suo quarantesimo compleanno infelice e senza amici, Amelia ripensa al momento più bello della sua vita e desidera ritornare al giorno del suo diciottesimo compleanno, quando era circondata da persone che la adulavano, popolare a scuola, giovane, piena di possibilità. Il desiderio viene avverato in men che non si dica e con discreta fretta narrativa (ma dato il tono leggero ci si passa sopra volentieri) da quel momento la ‘sfida’ di One More Time è quella di giocarsi bene le carte dell’originalità.
Un vero peccato, perché la messa in scena di One More Time è curata così tanto al dettaglio che perdercisi dentro è un vero piacere estetico. Il momento storico in cui Amalia è rinchiusa è infatti quello dei primi anni Duemila, e il film lo elogia alla grande tra vestiti girly alla Britney Spears, acconciature, accessori, oggetti di arredamento, macchine, prodotti di consumo di ogni tipo. Il piacere visivo che deriva da questa ricchissima ricostruzione, quasi maniacale, fa forse l’ottanta per cento del risultato del film, una vera e propria ‘distrazione chic’ che fa passare sopra la banalità del resto. La in-credibilità del meccanismo surreale è quindi coperta dalla credibilità del mondo in cui Amalia si muove.
Il ritmo del film è comunque buono: banalità qui non corrisponde a noia, solo la prevedibilità di ogni cosa che vediamo succedere e. Ciò che risulta più frustrante, invece, è il modo in cui la nostra consapevolezza di ciò che deve succedere supera l’intelligenza del personaggio (il classico “ma come fa a non capirlo!”) insieme alla svogliatezza del film del non cercare mai l’originalità pur essendo consapevole di essere ‘uno dei tanti loop’.
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