Once Upon a Time 3x11 "Going Home" (midseason finale): recensione

Midseason piacevole per certi versi, ingenuo per altri, che porta la serie verso l'ennesimo restart

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Ennesimo restart in vista per Once Upon a Time, dopo la conclusione della vicenda legata a Neverland e a Peter Pan. Ennesimo sconvolgimento finale e ritorno, o quasi, ai blocchi di partenza, ma con una sola, importantissima, variante. Stavolta l'azzeramento è andato ancora oltre, fino alle origini stesse della serie. Non fosse che per un ultima apparizione concentrata nell'ultima scena dell'episodio, Going Home più che un semplice midseason finale potrebbe quasi apparire come un series finale in piena regola.

Once Upon a Time, questo va riconosciuto, non ha mai giocato sulle grandi domande o i grandi misteri da svelare. Le poche svolte sono ampiamente prevedibili, le morti, come quella di Cora lo scorso anno, sono praticamente anticipate nei promo, e quando non lo sono, beh, vuol dire che il defunto in questione presto potrebbe tornare tra di noi (esattamente ciò che accade al personaggio della Fata Turchina e probabilmente ciò che succederà ad un altro importante protagonista scomparso). Nonostante una mitologia "familiare" sempre più estesa, una ragnatela sempre più fitta di riferimenti e controriferimenti tra mondi fiabeschi lontanissimi l'uno dall'altro, la visione a lungo termine non è mai stata un punto cruciale, tant'è che in appena quaranta minuti, così com'era successo altre volte, gli autori si possono permettere di calare il sipario su ogni buco, o quasi, rimasto aperto per poi ricominciare con una nuova "saga".

Lana Parrilla e Robert Carlyle rimangono come sempre i veri pilastri della serie. Sono i migliori interpreti, hanno a disposizione i migliori ruoli, quelli che a modo loro, sono i più umani. Più sofferenti e sviluppati rispetto ai perfettini e sempre meno sopportabili Biancaneve e David, più concreti rispetto ai dilemmi astratti di Emma. In questo semi-finale assorbono in maniera diversa il peso del sacrificio, dovuto come pena per aver scagliato la maledizione originale. A loro quindi indirettamente spetta il compito di traghettare la serie verso nuovi e imprevedibili sviluppi: consideriamo questo gesto come la tappa definitiva del loro percorso di redenzione, la vera costante narrativa di queste due stagioni e mezzo.

Senza entrare nel dettaglio dei vari eventi, Going Home non è soltanto il tipico "finale" di Once Upon a Time (risolutivo, denso di sconvolgimenti e soluzioni improvvise che si aprono ad un nuovo ciclo), ma è anche in linea con questa prima parte di stagione, nel bene e nel male. Una puntata godibile, piacevole da seguire, ma anche piena delle tipiche ingenuità a cui la serie ci ha abituati (la vicenda dalla fata turchina non è esattamente il massimo della scrittura, così come la gestione stessa delle maledizioni e contromaledizioni). Per il resto, pregi e difetti, la serie della ABC rimane sempre uguale a se stessa, rassicurante e piacevole, divertente e godibile: a patto di non chiedere troppo, un ottimo passatempo.

Quello che sarà nella seconda parte dell'anno di C'era una volta ancora non è dato saperlo, anche se un certo casting e un certo ruolo annunciato nelle scorse settimane dovrebbero farci pensare ad una certa direzione e all'introduzione di un nuovo mondo fiabesco, ma ciò che più è importante è l'avvenuta ripresa della serie. Ripresa rispetto al secondo, fiacco, anno dello show, ripresa rispetto ai suoi patetici villain e rispetto all'ambientazione urbana di Storybrooke, troppo debole rispetto a quella dei mondi fantastici. Il primo anno, con il suo magico equilibrio tra narrazione e personaggi e quella particolare alchimia che in più di un momento richiamava alla mente Lost, al quale era chiaramente ispirato, rimane tuttavia lontano.

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