Once Upon a Time: la recensione della prima stagione

La recensione della prima stagione di Once Upon a Time, la serie della ABC ambientata nel mondo delle fiabe...

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La nostra fiaba si svolge in un mondo nel quale il lieto fine non esiste.

E' un mondo triste, grigio, dominato dalla paura delle responsabilità e dall'incapacità di lottare per i propri sogni o anche soltanto di credere in essi. Tra rimpianti, sogni spezzati e ricordi ormai svaniti, i protagonisti di questa fiaba si muovono in uno scenario illusorio, corpi senz'anima, soggiogati ad una figura che l'anima sembra averla perduta per sempre. All'improvviso, dopo decenni di stasi, un elemento esterno (ma fino a un certo punto) spezza questo equilibrio. Le lancette riprendono a scorrere, i ricordi riaffiorano, nel mondo senza magia qualcosa cambia e ritorna la speranza in un futuro migliore, ritorna quello che viene considerato l'incantesimo più potente: il vero amore.

Con Once Upon a Time la ABC potrebbe finalmente essere riuscita a spezzare la maledizione che da molti anni la affliggeva: trovare un drama che raccogliesse il grande vuoto lasciato sul network dopo la fine di Lost (le invasioni aliene e le misteriose visioni collettive del futuro apparse sugli schermi negli ultimi anni non sono riuscite a raggiungere i risultati sperati). La soluzione potrebbe dunque essere quella di un ritorno alle origini, ad una dimensione narrativa familiare, classica e floridissima negli ultimi anni: quella della fiaba. Stanco di trame impossibili da sciogliere e misteri intricatissimi, lo spettatore ritorna a qualcosa di immediatamente riconoscibile, a schemi sì abusati ma mai invecchiati, ritorna ai propri giorni d'infanzia e ai pomeriggi passati a guardare e riguardare le classiche rivisitazioni fiabesche della Disney (perché è soprattutto queste che Once Upon a Time riprende).

Le premesse della storia sono molto semplici e fanno riferimento, come moltissimi avvenimenti nel corso della stagione, ad un bagaglio di nozioni che si presume lo spettatore conosca: la Regina Cattiva (Lana Parrilla), ormai sconfitta da Biancaneve (Ginnifer Goodwin) al termine delle vicende che chiunque ha ben presenti, non si rassegna e tenta il tutto per tutto pur di ottenere il proprio personale happily ever after. Viene così lanciata una maledizione che trasporta tutti i personaggi delle fiabe in una cittadina del Maine dalla quale è impossibile fuggire e in cui nessuno, o quasi, conserva memoria della propria vita passata. Trascorsi 28 anni Emma (Jennifer Morrison), figlia di Biancaneve sfuggita all'esilio, giunge nel paese spinta dal proprio figlio Henry (Jared Gilmore), dato via 10 anni prima e finito in adozione proprio alla stessa matrigna, che nel nuovo ordine svolge, ovviamente, il ruolo di sindaco.

Questa base di partenza potrebbe scoraggiare quanti temessero di trovarsi di fronte ad una storia involontariamente ridicola, a personaggi abbozzati e poggiati totalmente sulla conoscenza già posseduta dallo spettatore, ad un vago tentativo di cavalcare l'onda fortunata della rivisitazione del genere fiabesco che dall'uscita dell'orco verde sembra non dare tregua (basti pensare che soloquest'anno abbiamo visto due diverse Biancaneve al cinema). Non è così. Pur non essendo assolutamente una serie esente da difetti, Once Upon a Time funziona, incuriosisce, emoziona, coinvolge e, spesso, sorprende. Non di tratta di soprese "lostiane" (anche se i riferimenti visivi alla serie più famosa di J. J. Abrams sono parecchi, dai famosi numeri magici alle immancabili barrette Apollo), i colpi di scena sono pochi e i non molti misteri presenti, legati soprattutto al passato dei protagonisti, vengono quasi tutti risolti nell'arco delle 22 puntate.

Ciò che invece sorprende è la capacità di partire da una base ampiamente condivisa per poi costruire su questa un solido e originale intreccio, appoggiandosi di volta in volta anche a narrazioni o personaggi secondari (Robert Carlyle su Rumpelstiltskin è fenomenale), assegnando ad ognuno un posto di rilievo tanto nel mondo delle fiabe quanto nel nostro mondo. Funziona perfettamente la scelta – questa sì lostiana – di alternare la narrazione principale a flashback dedicati al protagonista della puntata ricostruendo di volta in volta il dramma personale di ognuno (e dunque una narrazione passata che diventa chiave di lettura per interpretare il comportamento del presente). Funziona infine la decisione di appoggiarsi, come già detto, più sulla visione fiabesca disneyana che su quella tradizionale: molto più riconoscibile la prima e, in definitiva, anche di più facile assimilazione. Eliminare dalla narrazione gli elementi più sgradevoli (sarebbe stato poco piacevole e fuori luogo vedere ad esempio le sorellastre di Cenerentola tagliarsi un pezzo di calcagno per poter indossare la scarpetta) non significa però abbracciare una lettura consolatoria o semplicistica. Certo, la divisione tra bene e male esiste ed è ben riconoscibile, ma non così netta come potrebbe sembrare e non è un caso se le puntate migliori della stagione sono proprio quelle dedicate alla storia della Regina e di Rumpelstiltskin, i due "cattivi" della serie.

Eppure, come spesso ripetuto nella serie, every magic comes with a price, e Once Upon a Time paga in questo senso una serie di innegabili difetti. Innanzitutto la particolare situazione di partenza, ovvero la maledizione, se da un lato viene come detto gestita al meglio in tutto il suo sviluppo, non riesce tuttavia a nascondere una serie di incongruenze di base (queste sì mai affrontate). Nella cittadina di Storybrooke (da "story book", il telefilm è pieno di questi giochi di parole e riferimenti più o meno velati) il tempo si è fermato, gli abitanti continuano a vivere ma non invecchiano, le situazioni non cambiano, e semplicemente non viene spiegato come le vittime vivano questa condizione e soprattutto come la viva Henry, l'unico personaggio che invece cresce (e a questo proposito è un pò forzato che il bambino abbia compreso l'intera maledizione solo sfogliando un libro di fiabe). Non convince completamente l'interpretazione di Jennifer Morrison, valida come assistente del Dr. House ma forse ancora non in grado di reggere il peso di un ruolo da protagonista principale. Altra insufficienza agli effetti visivi, con l'abuso del green screen nel mondo delle fiabe e con una CGI anch'essa quasi sempre deludente.

Il finale di stagione, forse un pò affrettato, ha ribaltato ancora una volta le carte in tavola. Quel magic is coming sembra presagire sviluppi devastanti, forse con l'apertura delle porte dei mondi viste in Hat Trick,forse con l'apertura di una porta in particolare e con la discesa in campo di un nuovo, pericoloso avversario (maggiori informazioni nel promo della seconda stagione).

Once Upon a Time ritornerà dal prossimo 30 settembre: il nostro consiglio è di concedergli, se non l'avete già fatto, un'occasione. Come detto, si tratta di una serie al momento tutt'altro che perfetta o memorabile, eppure funziona, è semplice ma mai stupida e, soprattutto, riesce a coinvolgere ed emozionare.

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