Once Upon a Time 2x12 "In the name of the brother": la recensione

Once Upon a Time ci lascia prima di una lunga pausa con una puntata incentrata sul Dr. Whale e il racconto della sua storia...

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Tanto per rimanere nel genere dell'orrore gotico, si potrebbe con un gioco di parole parlare di Dr. Whale e Mr. Frankenstein per definire il personaggio interpretato da David Anders in Once Upon a Time. Anche nell'ultimo episodio andato in onda prima della pausa di tre settimane – lo show tornerà il 10 febbraio – intitolato "In the name of the brother", il personaggio è dominato da una dicotomia non indifferente: tanto riuscito nel "mondo reale" di Storybrooke quanto sbagliato e fuori posto nel momento in cui ci spostiamo nella dimensione in bianco e nero dei flashback.

L'introduzione del personaggio di Frankenstein nella "mitologia" di Once Upon a Time è forse la più discutibile tra quelle operate dagli autori. Come lo stesso Henry sottolinea durante la puntata, il personaggio non compare nel suo libro delle fiabe, è estraneo al corpo narrativo delle fiabe nel quale, comunque già un pò forzatamente, venivano fatti rientrare Lancillotto e Mulan. Ormai accettato in ogni caso come carattere sempre più presente – e dopo questa puntata possiamo dire che venga promosso a personaggio di "seconda fascia" – almeno la speranza è che la sua storia venga raccontata degnamente. Così non è.

Il flashback di Frankenstein, che temporalmente si svolge a cavallo rispetto alla sua prima apparizione, e che ne segue il tragico percorso nel tentativo di rianimare e ridonare quindi la vita al fratello, è uno dei più deboli dal punto di vista della scrittura. Su tutti emerge, negativamente, la figura del padre dei due fratelli, penalizzata da un'interpretazione poco convincente e da alcune reazioni emotive decisamente poco credibili. Se non altro il flashback conferma la tendenza degli autori a cercare l'empatia con i personaggi mediante il confronto/scontro con i propri genitori, a carico dei quali spesso viene delegate molte responsabilità.

Le cose vanno meglio, almeno qualitativamente, a Storybrooke, con un approfondimento del personaggio del Dr. Whale tramite un bel confronto con Ruby (possibile love interest?). Ormai perduto di fronte agli altri il suo alone di mistero e sceso dal suo piedistallo invisibile, il dottore è pronto ad aprirsi agli altri e ad entrare nel gruppo dei buoni.

Sempre muovendosi all'interno dell'ospedale della città, l'episodio esplora poi le diverse conseguenze dell'incidente col quale si concludeva la scorsa puntata. Rumple è ormai un estraneo per Belle: vittima ne è la tazzina scheggiata simbolo del loro amore (o Chicco per i fan della versione disneyana), che finisce in pezzi. Il carisma di Robert Carlyle, soprattutto nella scena in cui si reca a casa di Emma per reclamarla come sua compagna nel viaggio alla ricerca del figlio, è come al solito una delle garanzie della serie, ma mette al tempo stesso in ombra la performance di Emilie De Ravin che, rispetto al fantastico personaggio di Claire di Lost, nelle sue vesti di principessa non ha mai convinto completamente.

Piccolo appunto all'ultimissima scena della puntata, che dovrebbe rappresentare il cliffhanger in attesa del ritorno della serie: l'incidentato giunto a Storybrooke, distratto, ferito e provato dall'esperienza, avrebbe ricollegato una strana luce vista un attimo prima dell'incidente ad un qualche utilizzo magico. Sono queste piccole, e un pò telefonate, ingenuità nella scrittura di Once Upon a Time che penalizzano lo show e non gli permettono il salto di qualità che potrebbe tranquillamente raggiungere.

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