On the Fringe, la recensione

On the fringe è così angosciato dal raccontare tutto che si dimentica i suoi protagonisti perdendo la sua grande potenzialità

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La recensione di On the Fringe, presentato al Festival di Venezia

Un brutto film sociale si riconosce spesso dalla quantità di temi che mette sul tavolo e dall’ansia con cui vuole dimostrare tutto. Colpa dei registi e degli sceneggiatori convinti che l’importanza del messaggio che alimenta il film sia la sola ragione della sua esistenza. Quindi più concetti vengono trasmessi più un’opera diventa “urgente” e quindi “necessaria”, per usare orribili termini abusati. In questa trappola cade anche On the Fringe, di Juan Diego Botto, che accumula quattro storie di sopravvivenza ai margini dimenticandosi però dei suoi personaggi. 

Penelope Cruz interpreta Azucena, una madre lavoratrice piena di debiti e sotto sfratto. La sua storia ha avuto risalto nel quartiere portando dalla sua parte un gruppo di cittadini. La sua è una lotta per la difesa della casa che si intreccia con quella di Rafa. Un avvocato che possiede una spiccata vocazione all’aiuto. Corre di qua e di là nella città prendendosi su di se i problemi degli altri. Questo rischia di costargli però molto nella sua vita privata. Affronta la giornata insieme al figliastro che doveva accompagnare al pullman per un viaggio, perso a causa di un imprevisto. C’è poi una bambina di 9 anni lasciata sola a casa e prelevata dalla polizia. Se la mamma non andrà a prenderla al commissariato, rischia di perdere la custodia della figlia. Rafa vede il fatto, conosce la famiglia e si prodiga per avvisarla in tempo. 

A queste storie che già da sole potrebbero reggere un film, si aggiunge quella di una donna sola che cerca disperatamente di ricontattare il figlio, e l’altro lato della medaglia: ovvero l’uomo che ignora le insistenti chiamate e le richieste di aiuto.

L’effetto è un film che corre spedito, che vorrebbe trasmettere l’ansia esistenziale mettendoci nei panni dei più svantaggiati per 24 ore. Solo che On the Fringe tiene costante il ritmo sui personaggi che solo a tratti si trasmette anche a chi guarda. Troppa carne al fuoco, troppi salti da un filo all’altro per potersi immergere spontaneamente nel film. Contrariamente alla volontà della regia, On the Fringe funziona di più proprio quando rallenta. Si concede un litigio senza stacchi di montaggio (un po’ alla Storia di un matrimonio) dove emerge il talento di Penelope Cruz. Purtroppo però si dà il tempo solo sul finale di riflettere sull’attivismo oltre il semplice buonsenso. 

C’è solo un tentativo vago di mettere in crisi l’idea che la responsabilità della cura sociale spetti al singolo cittadino. La critica politica, al welfare e alla capacità delle amministrazione di rispondere alle crisi, viene solo dalle didascalie finali. In Spagna avvengono 100 sfratti al giorno, si dice. Il cinema ha però il potere di raccontarne solo uno per rappresentarne molti. Questo dovrebbe fare invece che affannarsi a rappresentare tutti.

Invece On the Fringe vuole dire tutto quello che ha dentro finendo per raccontare solo cose già viste. Quando la bambina viene prelevata cerca il pietismo inquadrando gli occhi della piccola, quando invece era ben più interessante l’incapacità dei poliziotti di interagire con lei. Allo stesso modo Juan Diego Botto ha la bella idea di fare osservare le attività frenetiche di Rafa dal suo figliastro e la sfrutta nel modo più convenzionale possibile.

C’è una sottolineatura dialettica che il ragazzo continua a fare che anticipa, sin da subito, tutto il suo arco di maturazione. Invece che usarlo come strumento per mettere in crisi un agire del mondo adulto già consolidato da anni di inefficienza sociale, il personaggio si limita a confermare chi sono i buoni e chi sono i cattivi. 

On the Fringe è un film intricato, ma non complesso. Finisce così per dare come unico appagamento quello di vedere confermato il buonsenso idealista (se vedi un’ingiustizia, in quel momento diventa tua responsabilità, si dice nel film). Se non si fa però esperienza di queste idee in maniera più profonda ed emotiva, si esce convinti e armati di buone intenzioni giusto per il tempo in cui si ha memoria di quello che si è visto.

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