Omicidio nel West End, la recensione
Un giallo dentro un giallo in cui fare cinema che gode nel far cinema bene. Un classico messo in scena con così tanta maestria da ammaliare
La recensione di Omicidio nel West End, la commedia in sala dal 29 settembre
Amore per la buona scrittura innanzitutto, ma poi anche amore per la recitazione professionale e amore per tutto quello che di curato si può fare in un film. Lo capiamo all’inizio quando il regista cinematografico Adrien Brody, incaricato di dirigere la trasposizione hollywoodiana di Trappola per topi, spettacolo teatrale di grandissimo successo a Londra tratto da Agatha Christie, parla con noi, ci spiega tutto e chiude con una rissa addosso ad una torta scagliandosi contro Richard Attenborough (l’attore che poi sarà il miliardario padrone del Jurassic Park e qui è ritratto da giovane). Il resto del film sarà tutto improntato al godimento, a partire dal classico ispettore beone ma sagace di Sam Rockwell, per finire ad un ritratto fenomenale di Agatha Christie.
Con un chiaro parallelo tra l’indagine dei protagonisti e il giallo di Trappola per topi (intorno alla cui rappresentazione avvengono gli omicidi) e con il medesimo contrasto di neve fuori e luci calde dentro, Omicidio nel West End si propone di fare commedia intorno all’industria dello spettacolo, così spietata da non fermarsi mai, nemmeno di fronte ai morti (ironicamente sarà proprio questa una delle cause degli omicidi). Tutti sono innamorati di questi attori e di questo mondo senza che tuttavia ci appaia mai davvero desiderabile. Anzi. Come nelle commedie anni ‘50 il punto è sempre il contrasto tra il mondo alto di chi sa vivere e le concrete esigenze di chi sta in basso. Anche questo è cinema di commedia rigoroso come una volta, girato però in un tempo (il nostro) nel quale comanda ironia anche nella rappresentazione e nell’uso degli strumenti della regia. Invece Omicidio nel West End ci crede e dimostra di sapere bene in cosa credere.