Omicidio nel West End, la recensione

Un giallo dentro un giallo in cui fare cinema che gode nel far cinema bene. Un classico messo in scena con così tanta maestria da ammaliare

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Omicidio nel West End, la commedia in sala dal 29 settembre

C’è un gran parlare delle regole dei gialli e di come funzioni il mondo del teatro, con i suoi attori, i suoi contratti e le sue convenzioni, ma in realtà quello di cui si sta parlando nel mezzo dell’indagine di Omicidio nel West End è sempre di cinema. Del cinema e dell’arte del racconto. E pure la stessa passione eccezionale, piena di eccitazione negli occhi e di speranze dell’agente di Saoirse Ronan, è quella per il racconto e il lento svelamento della verità delle storie ben raccontate. Come questa che guardiamo, così piena di amore per i dettagli e le convenzioni del racconto e quindi del cinema (ma anche della messa in scena) che è veramente difficile non lasciarsi prendere dal suo tenero amore.

Amore per la buona scrittura innanzitutto, ma poi anche amore per la recitazione professionale e amore per tutto quello che di curato si può fare in un film. Lo capiamo all’inizio quando il regista cinematografico Adrien Brody, incaricato di dirigere la trasposizione hollywoodiana di Trappola per topi, spettacolo teatrale di grandissimo successo a Londra tratto da Agatha Christie, parla con noi, ci spiega tutto e chiude con una rissa addosso ad una torta scagliandosi contro Richard Attenborough (l’attore che poi sarà il miliardario padrone del Jurassic Park e qui è ritratto da giovane). Il resto del film sarà tutto improntato al godimento, a partire dal classico ispettore beone ma sagace di Sam Rockwell, per finire ad un ritratto fenomenale di Agatha Christie.

Tom George crea un mondo che potrebbe appartenere a Wes Anderson solo asciugato della sua perversione ironica per le geometrie esatte, e invece riempito di chiaroscuri, ombre e tagli di luce. Invece che ostentare i suoi motivi ricorrenti e i pattern, li nasconde. Lo stesso vale per molte inquadrature e un certo fare da fumetto europeo di cui Anderson si nutre e che di nuovo qui invece non ha niente della sua ironia consapevole (che spesso pare prendere in giro le medesime soluzioni di regia che adotta), sostituita da un’aria da vera commedia sofisticata, proprio la stessa che ad Anderson sembra sempre sfuggire. Anche Saoirse Ronan, Adrien Brody e Sam Rockwell sono sfruttati con la medesima passione per l'uso consapevole dello stereotipo e quel tono recitativo fanciullesco dei film di Anderson. Ma di nuovo è tutto asciugato dell'ostentazione e riempito di commedia sofisticata.

Con un chiaro parallelo tra l’indagine dei protagonisti e il giallo di Trappola per topi (intorno alla cui rappresentazione avvengono gli omicidi) e con il medesimo contrasto di neve fuori e luci calde dentro, Omicidio nel West End si propone di fare commedia intorno all’industria dello spettacolo, così spietata da non fermarsi mai, nemmeno di fronte ai morti (ironicamente sarà proprio questa una delle cause degli omicidi). Tutti sono innamorati di questi attori e di questo mondo senza che tuttavia ci appaia mai davvero desiderabile. Anzi. Come nelle commedie anni ‘50 il punto è sempre il contrasto tra il mondo alto di chi sa vivere e le concrete esigenze di chi sta in basso. Anche questo è cinema di commedia rigoroso come una volta, girato però in un tempo (il nostro) nel quale comanda ironia anche nella rappresentazione e nell’uso degli strumenti della regia. Invece Omicidio nel West End ci crede e dimostra di sapere bene in cosa credere.

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