Omen - L'origine del presagio, la recensione

Doveva essere un prequel a basso costo brutto come tanti altri, invece Omen - L'origine del presagio è diretto da una giovane promessa

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Omen - L'origine del presagio, il film prequel di The Omen, in sala dal 4 aprile

Bastano pochi minuti per capire che Omen - L’origine del presagio non è un film come gli altri, che non c’è quella medesima trascurata sciatteria che domina prequel o sequel a basso costo degli studios (per i quali spendere poco equivale ad avere uno scarso interesse). Quando la protagonista arriva all’aeroporto di Roma (posizionato all’EUR) ed è chiaro che il film sta riprendendo l’inizio di Toby Dammit, l’episodio di Federico Fellini del film collettivo Tre passi nel delirio, non è solo impressionante che Akasha Stevenson lo conosca, ma soprattutto che, con tutte le tare di un film moderno, riesca a riprendere quella scena, quella luce, quei toni e quell’atmosfera!

È l’introduzione a un film che sarà tutto una lotta titanica condotta da una regista al suo esordio contro una sceneggiatura (alla quale ha contribuito) dozzinale e piena di cliché ripetuti senza voglia. Akasha Stevenson vuole dimostrare di non essere come gli altri, ed è evidente che non lo sia. Non solo perché quando vuole riesce a condurre dialoghi imbarazzanti creando interesse grazie al lavoro sulla recitazione e a quello sulle scenografie, piene di secondi livelli di lettura, ma si concede virtuosismi impressionanti come la scena in cui la protagonista, una novizia a pochi giorni dal diventare suora che si è concessa una nottata fuori in discoteca con un’altra ragazza come lei, si sveglia. La vediamo inquadrata in primo piano, in un groviglio di capelli accanto ad un uomo con gli occhiali. Non appena si muove si capisce però che è in realtà sola, l’uomo era un’illusione ottica creata solo posizionando i capelli di lei. Non ha dormito con nessuno, ma quei capelli ribelli per una volta non contenuti dal copricapo che le viene imposto, suggeriscono che avrebbe voluto e hanno scatenato in noi il desiderio che l’avesse fatto. Qualcosa che non si scrive in sceneggiatura.

Omen - L’origine del presagio è quindi in realtà non tanto un film di possessioni e anticristo che lancia il film del 1976 con Gregory Peck, come vuole la trama, ma uno di piaceri della carne repressi e poi temuti, come raccontano le immagini, un film di bava e mostri in lattice, di silhouette esili dentro abiti da suora, vecchine malefiche da film italiano e Bill Nighy cardinale. È un film che vuole davvero riuscire a ingaggiare un duello con lo spettatore come fanno i grandi maestri, che lo provoca con una scena di parto incredibile, e si diverte con lui nel finale demoniaco, e questo anche se si ritrova per le mani una sceneggiatura povera e priva di spunti. Per riuscirci fa un lavoro immenso sui dettagli e ciò che la sceneggiatura non può dettare, gioca di citazioni, si rifà a Polanski quando ha bisogno di visualizzare il demonio e architetta ogni sotterfugio per animare una sceneggiatura spenta. 

Ad esempio si tiene a distanza dai personaggi per tutto il tempo per poi andargli addosso nel gran finale e stupire, li fa recitare per tutto il tempo con una certa misura per poi spingere sullo sguardo allampanato quando serve. Sembra quasi usare ambienti intonsi salvo poi farci vedere che in realtà sono accuratamente acchittati per creare l’illusione della presenza di qualcosa. Insomma, non ci sono altre parole: Akasha Stevenson dirige come una grandissima regista anche se è al primo film, ha la personalità sufficiente a sovvertire da dentro un progetto (come si faceva nel cinema americano irregimentato degli anni ‘50) ed esce da questo suo esordio come uno dei talenti più evidenti espressi dal cinema americano mainstream da anni a questa parte.

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