Oltre l'universo, la recensione

Film "malattia e amore" brasiliano come il più classico dei modelli hollywoodiani, Oltre l'universo è troppo prevedibile e sdolcinato

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La nostra recensione di Oltre l'universo, disponibile dal 27 ottobre su Netflix

È una produzione brasiliana, ma non c'è nulla che lo contraddistingua da un film americano del sottogenere "amore e malattia" con protagonisti due giovani. Poche le inquadrature in esterni o di paesaggi, per evitare di localizzare le vicende e renderle più universali possibile, in un trionfo dei sentimenti. Perché, si sa, in queste storie l'amore vince sempre. Semplice messaggio come lo è in generale Oltre l'universo, che si appoggia a schemi consolidati, senza proporre non diciamo uno scarto, ma nemmeno un minimo di vitalità.

Il film diretto da Diego Freitas ha come protagonista Nina, giovane pianista con grandi ambizioni che vede i suoi sogni dissolversi tra una sessione di dialisi e l'altra in attesa di un trapianto di reni. Mentre suona in una stazione incrocia per caso Gabriel, impacciato ma tenace, e ovviamente irresistibile. Scoprirà presto che è un medico specializzando nella clinica dove lei è in cura (con a capo suo padre). La loro nascente relazione sarà messa alla prova dalla malattia di lei, ma anche dalla professione di lui.

In oltre due ore di durata, Oltre l'universo lascia a lungo sullo sfondo l'incombenza della possibile morte della ragazza spostando il focus della narrazione anche su Gabriel. Chiuso dalla figura oppressiva del padre e dall'istituzione che non accetta che ci possa essere un legame sentimentale tra medico e paziente, deve mettere in gioco tutto se stesso per spingere l'amata a continuare. Allo stesso tempo, per quest'ultima è cruciale il sogno di entrare a far parte di un'orchestra sinfonica, in un'ideale di musica come ancora di salvezza. Cardini di un intreccio che si ferma superficialmente a questi assunti, mostrandosi più come una semplicissima e platonica love story tra due giovani che sembrano doversi separare ma sono destinati a stare insieme. Quando poi la malattia incombe, tutto scivola nel pietismo, nella facile lacrima. Senza per questo arrivare a toni eccessivamente mesti; la parola d'ordine è "confortante" e allora a ogni svolta più drammatica segue una parola, un gesto che rasserena e i conflitti aperti si risolveranno prima del finale. Ma tutto appare posticcio.

A incidere sul risultato di Oltre l'universo è proprio come nella prevedibilità dell'intreccio a mancare è un sussulto, uno slancio, e come in questo modo questo risulta artificioso, costruito, non riuscendo mai a farci appassionare ai protagonisti. Non aiutano le interpretazioni poco convincenti dei due attori, Giulia Be e Henrique Zaga, stretti in figure senza spessore. Né la fotografia, che gioca su netti contrasti, tra la forte luce del sole che irrompe dalle finestre e l'oscurità della sala operatoria, fino alla patina estetizzante di colori accesi per le scene in cui Nina si esibisce. Così, l'unico modo per trasmetterci qualcosa, in un film (apparentemente) pieno di sentimenti, è ricorrere a sdolcinati pezzi musicali, che non sono a supporto della narrazione ma ne diventano l'unico traino. Non proprio il massimo.

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