Oltre l'universo, la recensione
Film "malattia e amore" brasiliano come il più classico dei modelli hollywoodiani, Oltre l'universo è troppo prevedibile e sdolcinato
La nostra recensione di Oltre l'universo, disponibile dal 27 ottobre su Netflix
Il film diretto da Diego Freitas ha come protagonista Nina, giovane pianista con grandi ambizioni che vede i suoi sogni dissolversi tra una sessione di dialisi e l'altra in attesa di un trapianto di reni. Mentre suona in una stazione incrocia per caso Gabriel, impacciato ma tenace, e ovviamente irresistibile. Scoprirà presto che è un medico specializzando nella clinica dove lei è in cura (con a capo suo padre). La loro nascente relazione sarà messa alla prova dalla malattia di lei, ma anche dalla professione di lui.
A incidere sul risultato di Oltre l'universo è proprio come nella prevedibilità dell'intreccio a mancare è un sussulto, uno slancio, e come in questo modo questo risulta artificioso, costruito, non riuscendo mai a farci appassionare ai protagonisti. Non aiutano le interpretazioni poco convincenti dei due attori, Giulia Be e Henrique Zaga, stretti in figure senza spessore. Né la fotografia, che gioca su netti contrasti, tra la forte luce del sole che irrompe dalle finestre e l'oscurità della sala operatoria, fino alla patina estetizzante di colori accesi per le scene in cui Nina si esibisce. Così, l'unico modo per trasmetterci qualcosa, in un film (apparentemente) pieno di sentimenti, è ricorrere a sdolcinati pezzi musicali, che non sono a supporto della narrazione ma ne diventano l'unico traino. Non proprio il massimo.