Oltre i confini del male - Insidious 2, la recensione
Il re della paura contemporanea torna a brevissima distanza da L'evocazione con il seguito diretto di Insidious. Purtroppo la narrazione, al netto del reale terrore, è più ridicola che mai...
Pochissimi oggi sono capaci di incutere terrore al cinema come James Wan. Il creatore di Saw (ha diretto il primo film) ha navigato in film meno riusciti fino a due anni fa quando è arrivato il primo Insidious, poi ha centrato il colpo con l'ancor più riuscito L'evocazione e ora torna a quella storia per un secondo film. Tutti questi tre lungometraggi hanno in comune il passaggio dal mondo dei morti a quello dei vivi, le presenze in casa e l'arrivo di specialisti per combatterle, ovvero il nucleo del classico Poltergeist. Non solo, James Wan è anche attaccato ad un armamentario della paura da anni '20, fatto di catene, lenzuoli, porte che scricchiolano e nebbia a livello delle caviglie, il fatto che riesca ad usarlo per generare autentico smarrimento nello spettatore è dunque ancor più degno di stima e ancor più indicatore della sua capacità di lavorare con le immagini.
Le produzioni di Wan, eccezion fatta per L'evocazione, si caratterizzano per budget al limite del ridicolo (1,2 milioni per Saw, 1,5 milioni per Insidious, 5 milioni per questo), dunque location limitate e molti paletti che con le sue idee diventano subito punti di forza. Il ripetersi di maschere, oggetti, stanze e via dicendo crea una dimensione ristretta di persecuzione e terrore, anche senza usufruire dei consueti "botti", ma al netto di una sensazione inimitabile di spiacevole terrore, è anche evidente come a Wan non interessi usare la paura, ma solo scatenarla. I suoi film non mirano mai a sfruttare il sentimento suscitato in qualche direzione, per cambiare un punto vista o mettere in evidenza qualcosa. Come B movies mirano unicamente a mettere paura.