Old Henry, la recensione | Venezia 78

Old Henry di Potsy Ponciroli funziona per ritmo ed atmosfera ma non riesce a portare a compimento la sua decostruzione della leggenda nel western

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Old Henry, la recensione | Venezia 78

È forse molto più esaltante l’intento che il risultato in Old Henry, il western scritto e diretto da Potsy Ponciroli e con protagonista un ottimo Tim Blake Nelson. Old Henry vuole decostruire la leggenda e il mito del grande pistolero per sottolineare la fragilità umana dei grandi eroi del passato: quello che ottiene è complessivamente un buon film ma la sua atmosfera crepuscolare e la sua malinconia non bastano per concludere con forza e originalità un discorso sul passato del western che molti autori prima avevano già fatto in modo decisamente più incisivo.

La situazione iniziale del personaggio è infatti per esempio molto simile a quella di William Munny (Clint Eastwood) ne Gli Spietati (un film che, appunto, era invece perfetto per come sottolineava la contraddizione intrinseca del mito) ovvero quella di un vecchio uomo del West che ha rinnegato la violenza e si è ritirato a vita modesta dopo la morte della moglie, appendendo definitivamente gli speroni al chiodo. In Old Henry non si sa altrettanto bene che cosa abbia fatto in passato Henry (Tim Blake Nelson) ma ne intuiamo un certo mistero. Si tratta di un contadino del Kansas che vive con suo figlio Wyatt - forse per Wyatt Earp - (Gavin Lewis) e che un giorno si ritrova per caso davanti al corpo in fin di vita di un uomo e ad una borsa piena di soldi. Henry sceglie di portare a casa entrambi ma così facendo comincia ad essere perseguitato dal violento Ketchum (Stephen Dorff) che prima di lui stava cercando di arrivare allo stesso bottino.

Old Henry è un gioco di attese, sospetti e rivelazioni ambientato quasi interamente nella casa del protagonista o nei suoi pressi. Una dimensione strana per il western e che Ponciroli (che non brilla qui nei dialoghi o nella costruzione narrativa) fatica a gestire nei suoi spazi limitati, non avendo né personaggi con personalità forti su cui concentrarsi né un intreccio particolarmente attraente da cui aspettarsi colpi di scena. Il film in questo senso è, purtroppo, piuttosto ripetitivo o prevedibile. 

Wyatt ha l’ingenuità e il desiderio di chi crede ancora nel mito edulcorato della vecchio west, di chi è affascinato da pistole e vecchi manifesti, Henry invece è un uomo riservato che scoraggia il figlio dal perseguire quel cammino. Questa contrapposizione generazionale ed ideologica, che mira a sottolineare l’inquietante anacronismo dell’esaltare la violenza, non è però sviluppata davvero, come non pienamente chiaro è l’intento con cui Ponciroli proponga una rivisitazione della leggenda.

Nonostante ciò Old Henry è comunque capace di attrarre lo sguardo e l’attenzione dello spettatore, ed è un merito che si assume quasi totalmente su di sé Tim Blake Nelson. La sua faccia rovinata, il suo accento e la sua fisicità goffa ed imbruttita dal tempo rendono perfettamente l’idea del personaggio, come anche Stephen Dorff riesce a dare un notevole spessore al suo personaggio solamente per come interpreta le sue seppur scarne battute.

Old Henry è allora un film che si basa tutto sulla forza attoriale, sul ritmo e sulle atmosfere ma che, una volta che bisogna fare i conti con le idee, fa fatica a portare a compimento un discorso più complesso.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Old Henry? Scrivetelo nei commenti!

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