Oculus, la recensione

Sorprendente horror che racconta una storia consueta come nessun altro fa, nascondendo, svelando, associando e lavorando di montaggio per ribaltare quel che crediamo di sapere del genere...

Critico e giornalista cinematografico


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C'è un segreto nel fascino di questo bellissimo film dell'orrore di serie B (nel senso migliore del termine, cioè asciutto e centrato sull'azione come motore di ogni cosa) ed è il ribaltamento che la protagonista intende operare trasformando la presenza infestante nell'oggetto di una caccia. Accadeva già (ma in una maniera davvero molto diversa) in Alta tensione di Alexandre Aja, qui Kaylie, sorella di Tim che dieci anni prima finì in un manicomio infantile per aver ucciso il padre, è determinata a dimostrare che suo fratello era innocente e ad uccidere i loro genitori è stato uno specchio demoniaco che possiede le persone e gli fa vedere e fare quel che vuole. Per fare ciò Kaylie, che lavora in una casa d'aste, è riuscita a ritrovare quello specchio, dieci anni dopo, e ha intenzione di attirare il male con diverse esche, di dargli la caccia, prenderlo e fare quello che nessuno (stando alle sue ricerche) è mai riuscito a fare: ucciderlo.

In questa ragazza (Karen Gilan) così fiera, sicura di sè, dotata di un piano preciso e della ferma volontà necessaria per eseguirlo che le viene da più di un decennio di vendetta covata, c'è un fascino incredibile (si veda la maniera eccitata con la quale spiega al fratello che forse la telefonata del ragazzo che ha ricevuto non era nemmeno reale). Curatissima, con i capelli rossi e una coda oscillante, le unghie lunghe e colorate, civetta, sexy, dotata di una calma che ha un sapore implacabile, Kaylie e la sua caccia che pare ribaltare tutto quello che sappiamo dell'horror (dai mostri si scappa sempre e con poca speranza!) sono quello che tiene attaccati alla sedia per tutta la prima parte del film.

Nella seconda, che dal thriller psicologico passa direttamente all'horror puro (con buon uso di sangue e immagini terrificanti), è invece l'abilità di Mike Flanagan di usare il montaggio per fini narrativi ad avvincere. Il regista ha infatti lavorato per anni come montatore e sembra conoscere l'arte del taglio come pochi altri. Associando i fatti del presente con quelli del passato (quando Tim e Kaylie erano bambini) Flanagan ce li mostra alternando i primi ai secondi, in molti punti mescolandoli come se esistessero nello stesso momento. E' una costruzione estremamente complessa che Oculus riesce a rendere semplice e chiara per lo spettatore, comprensibile senza nessuna fatica (che invece deve aver fatto Flanagan per arrivare a questo livello di fluidità).

Tutto questo è tanto più evidente se si confronta il film con il corto che lo ha originato (in una dinamica non diversa da quella di La madre), Oculus: Chapter 3 - The man with the plan (visibile qui), scritto e diretto dallo stesso Flanagan nel 2006. Sono presenti quasi tutte le trovate e le "regole" del mondo di Oculus assieme all'idea del ribaltamento e quasi tutti i dettagli della trama ma l'impressione è che la scelta del protagonista, la recitazione e la maniera in cui si arriva al punto non renda giustizia alla bontà dello spunto.
Si capisce insomma che il montaggio peculiare scelto per alternare presente e passato è più che una trovata spettacolare ma uno strumento narrativo che cambia di molto la percezione e l'attrattiva della storia facendo compiere a Flanagan (almeno per il momento) il passaggio da regista inventivo a maestro dell'horror.

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