Obliterated, la recensione della prima stagione

Obliterated è quello che succede shakerando Mission: Impossible con Una notte da leoni, e il risultato è una droga

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La recensione della prima stagione di Obliterated, su Netflix dal 1 dicembre

Obliterated è tantissime cose diverse, e già questo è magnifico. La nuova serie dei creatori di Cobra Kai (Jon Hurwitz, Hayden Schlossenberg e Josh Heald) è innanzitutto una figlia neanche troppo illegittima di Mission: Impossible, inteso in particolare come il franchise con Tom Cruise, inteso ancora più in particolare come i film dal quarto in avanti. C’è una squadra d’elite composta di specialisti da ogni braccio dell’esercito statunitense e dai loro servizi segreti, c’è una missione pericolosissima e all’apparenza impossibile che, se dovesse finire male, porterebbe più o meno alla fine del mondo, e c’è una notte per risolvere la situazione – il che rende Obliterated anche una sorta di 24 più compressa, una 8 se volete, solo meno seria. Molto meno seria.

Perché è inutile far finta di nulla: Obliterated è ispirata anche nientemeno che a Una notte da leoni. La serie si apre con una fenomenale sequenza action che stabilisce il tono per il resto delle sue sette ore e qualcosa di durata: siamo a Las Vegas, Sin City, dove tutto è colorato ed eccessivo, e quindi anche la summenzionata squadra speciale è colorata, eccessiva e archetipica senza per questo risultare stereotipata (tranne quando lo stereotipo serve per alimentare una gag). Sono belli, sono bravi, fanno esplodere tutto, non sbagliano un colpo, hanno sempre la battuta pronta sia che stiano salvando una vita sia che stiano facendo saltare cervella di comunisti malvagi (Obliterated non è sottilissima). E concludono la loro missione senza un graffio, o quasi: abbastanza da decidere che si meritano di passare una notte brava nella città del peccato, tra sesso, droga e rock ‘n’ roll.

Ovviamente (giuriamo che è l’unico colpo di scena che vi roviniamo, perché è il presupposto della serie e si scopre dopo meno di mezz’ora) la loro missione non era andata a buon fine, e l’oggetto di distruzione che pensavano di aver recuperato dalle mani dei terroristi russi è ancora in circolazione. E quindi alla nostra Famiglia di turno – ovviamente Obliterated prende molto anche da Fast & Furious nella costruzione del gruppo – non resta che rimettersi di buzzo buono a salvare il mondo, questa volta però con sul groppone litri di alcool e manciate di pastiglie di varia provenienza.

Quella che poteva essere solo una scusa per qualche battuta divertente diventa così l’anima dell’intera serie: gli agenti segreti imbattibili e insuperabili di Obliterated sono anche fatti come delle pigne, e questo, curiosamente o forse no, li porterà nel corso della notte a confrontarsi ciascuno con i propri fantasmi, e a conoscersi a vicenda in modi che neanche condividere un campo di battaglia renderebbe possibili – è importante a tal proposito segnalare come gran parte del cast di Obliterated sia sanamente arrapato e come questo dettaglio sia in realtà uno dei temi portanti dell’intera stagione.

Dopodiché, è chiaro che Obliterated racconta una storia già vista con soluzioni già viste, e che una fetta di pubblico accoglierà i colpi di scena più clamorosi con una scrollata del capo e un’esclamazione tipo “io l’avevo capito tre puntate fa!”. La differenza è tutta nell’esecuzione: sostenuta costantemente da una colonna sonora a base di dubstep zarrissima mixata con classici pop rock del passato e del presente, Obliterated tira drittissimo e non si risparmia mai in termini di spettacolarità, ma anche di volgarità e maleducazione. Ci sono più sparatorie, inseguimenti e sangue che sprizza in un singolo episodio che in interi film action da due ore e passa, c’è una cascata di umorismo che però non scade quasi mai nel logorroico battutismo stile Marvel ultimo periodo, c’è una grande gestione dei tempi comici ma anche di quelli drammatici e soprattutto di quelli dell’azione: è ammirevole in particolare come la serie riesca a gestire così tanti personaggi contemporaneamente senza mai dare l’impressione che alcuni di questi ci siano solo per fare numero.

È assurda, Obliterated. Sopra le righe come fosse un Bad Boys, cinefila e innamorata in particolare dell’action e del thriller, stracolma di droghe fino alle orecchie, con momenti di surrealtà che riescono a non stonare in questo universo assurdo ma talmente irresistibile che ti porta a empatizzare con un tizio di nome Chad che è convinto che Born in the U.S.A. sia una celebrazione dei valori americani. Arrivati alla fine se ne vorrebbe ancora, ed è chiaro che di fronte a una risposta positiva c’è tutto lo spazio per altre stagioni e altro tempo da passare con questi magnifici personaggi, che non citiamo neanche perché dovremmo citarli tutti nessuno escluso. Un po’ però ci piacerebbe che il viaggio di questa squadra di migliori tra i migliori finisse qui, con questi otto episodi: sarebbe un peccato, ma sarebbe anche perfetto.

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