Obi-Wan Kenobi: la recensione dei primi due episodi

I primi due episodi di Obi-Wan Kenobi sorprendono per un’importante scelta narrativa e la posizionano in pole position per grandi sviluppi

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A sorpresa quello che funziona di più nei primi due episodi di Obi-Wan Kenobi è tutto ciò che ruota intorno all’infanzia di Leia Organa. Non per il personaggio in sé, piuttosto convenzionale nella sua simpatica impertinenza. Semmai perché ci si rende conto di quante storie possono nascere da quel tassello non ancora raccontato nel grande affresco in live action di Star Wars

La sorte di Luke è ben più documentata e lineare. Il percorso della Principessa inizia ben prima di quello del fratello gemello. Non a caso Una nuova speranza si apre proprio con la fine di una sua azione. Un’intuizione chiave, quella di avvicinare a lei il maestro Jedi, che evita di smuovere gli eventi di una trilogia ormai intoccabile come un testo sacro e permette agli sceneggiatori di trovare un ottimo punto di partenza per altre saghe e nuovi personaggi paralleli.

Eppure Obi-Wan Kenobi nella continuità ci sguazza. Si presenta come un importante anello di congiunzione tra trilogie. Sin dalle prime immagini (quel bellissimo piano sequenza dell’ordine 66) si capisce che il peso produttivo è un’altro rispetto a quello comunque alto di The Mandalorian (figurarsi rispetto a The Book of Boba Fett). Lo sguardo è più ampio, il sapore è quello del grande evento. L’atmosfera è più rarefatta e gravosa, come se qualcosa di importante dovesse succedere da un momento all’altro. Scelta che stacca questa serie dalle precedenti e la riavvicina al baricentro dell’universo di Guerre Stellari.

Le sensazioni sono quelle che si provano nelle prime sequenze di un film.

obi-wan kenobi

Anche se Obi-Wan Kenobi è costretto alla lunga anche a fare i conti con le molte ore che ha davanti e con la divisione in episodi; oltre al cambio di media, dal grande schermo alla televisione. Paga così il pegno, sin dall’inizio, di dover riannodare le fila. Lo fa con gli incubi ricorrenti (c’è qualcuno che dorme bene nella saga di Star Wars?), ennesimo, pigro, momento di esposizione. Non si possono riprendere gli incubi di un personaggio di "serie A" come Obi Wan Kenobi - che dovrebbe possedere anche un controllo mentale maggiore - come quelli di Boba Fett. Nemmeno per convenzione narrativa! Eppure queste serie, come regia, condividono tutte lo stesso registro. È la sceneggiatura che, in questo caso, sembra più curata nell’alternanza dei momenti chiave e nella costruzione della tensione.

Perciò fanno particolarmente innervosire delle assurdità nella messa in scena come i nemici che, come se fossero in un videogioco di prima generazione, non riescono a superare ostacoli come una tenda parasole caduta a terra. L’inseguimento della piccola Leia vede energumeni non starle dietro e non riuscire a saltare un tronco caduto o fare una discesa dal bosco al sentiero. Allo stesso modo è comprensibile perché Obi-Wan si trattenga. Rivelare di essere un Jedi è rischioso e può compromettere la missione. Stride però, conoscendo il personaggio, vederlo fare a pugni come un eroe action moderno. Soprattutto non ha senso che si trattenga dall’uso della forza quando questa semplificherebbe tutto. Come per dimostrare a Leia che si può fidare di lui.

Obi-Wan Kenobi inizia come un inseguimento. Leia viene rapita, portata sul pianeta Daiyu (più ricco e affascinante di molti altri visti in televisione) da Reeva e dal Grande Inquisitore. Ma con il colpo di scena del secondo episodio la regia mette a segno due centri incredibili. Il primo è il momento in cui il maestro Jedi apprende che Anakin è ancora vivo. Un plauso va fatto a Ewan McGregor, è veramente un piacere rivederlo in panni che gli vestono alla perfezione. Il secondo twist che colpisce nel profondo è sulla natura di questa ricerca. Non è l’eroe che insegue la bambina rapita. È il villain che insegue l’eroe. E che villain!

È ancora presto per potersi sbilanciare sulla buona riuscita della serie, che oscilla pericolosamente tra l’eccellenza cinematografica e la televisione più semplice e frettolosa. Però questa volta tutto sembra un po’ di più. Un po’ più emozionante, un po’ più serio, un po’ più creativo. L’indizio principale, come sempre per Star Wars, viene dalle figure secondarie che si muovono nello sfondo. 

Persino i Jawa hanno una personalità accattivante. Le creature sono originali, sembrano mai viste prima: mostri con le gambe lunghissime, droidi che scaldano il cuore come Lola, e soprattutto millantatori Jedi.

Haja, interpretato da Kumail Nanjiani, è esilarante. Un truffatore che si spaccia per Jedi cercando di guadagnare crediti attraverso trucchi di magia venduta come Forza.

Come personaggio è fondamentale.

Ovviamente non per l’equilibrio di queste due puntate, che reggerebbero bene anche senza di lui. Lo è perché finalmente, dopo tanto tempo, vediamo una persona che reagisce a quello che la Storia (con la S maiuscola) di Star Wars fa alla sua vita. È pienamente inserito in quella precisa epoca storica e ogni sua decisione racconta tanto della geopolitica che attraversa quei pianeti.

Se le spade laser e la lotta tra il bene e il male sono come razzo che viene sparato nel cielo, questi dettagli sono il colore del fuoco d’artificio che segue l'esplosione. Sono il vero spettacolo. Soprattutto sono un forte indizio di quello che vuole fare la Lucasfilm sotto banco: ricominciare da capo. Ripartire a raccontare la vita sui singoli pianeti e quindi ricompattare le basi per espandere l’universo.

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