[Berlino 2014] Nymphomaniac vol. I uncut, la recensione
Deludente sotto tutti gli aspetti, il film di Von Trier non darà il sesso spinto, il dramma e la ricerca estetica a chi li voleva. A salvarlo c'è solo la comicità...
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Il racconto di una donna e del suo percorso interiore (non diverso da quello di Le onde del destino o Dancer in the dark, solo meno tragico) è diviso in capitoli, cosa che dà modo al regista di utilizzare stili differenti, alternando la classica macchina a mano (di film in film sempre più sobria e moderata) ad una messa in scena controllatissima (in un minuscolo prologo) fino al bianco e nero simile ad Epidemic. Mentre nella sceneggiatura non mancano riferimenti a "The man" di Antichrist o alla melancholia, senza contare le scene nei claustrobici sotterranei di un immenso ospedale come The kingdom.
Non mancano nemmeno falli e vagine in Nymphomaniac visto che la trama lascia alla sua protagonista il compito di raccontare la storia della propria vita da ninfomane, da quando abbia scoperto la cosa a come ci sia cresciuta fino a come ci abbia convissuto. Questo vol. I si ferma intorno ai vent'anni ma lo stesso vediamo molto del suo sesso promiscuo, tutto ripreso con il piglio dello studioso e non con quello del guardone. L'uso ripetuto di sovrimpressioni per indicare il numero degli amplessi, assieme ad un montaggio che sfrutta anche video di repertorio per sottolineare ancora di più la volontà di giocare con la forma documentaristica sembra rigettare totalmente le iperboli estetiche degli ultimi lavori. Il sesso non è mai stato stordimento e passione per Von Trier e ora l'averlo affrontato così, in maniera quasi clinica, dal punto di vista della logistica (come si gestisce l'esigenza di avere 10 amplessi al giorno con 10 uomini diversi?) appare molto coerente.
Di tutto questo però davvero non si sente esigenza, l'eccesso di sesso sembra un contentino per poter promuovere il film come è stato fatto finora, mentre il cuore, la parte che pare essere più cara al suo autore, è un'altra e sta più nel narratore.
Il rapporto che Charlotte Gaisnbourg stringe con Stellan Skarsgard (che nonostante non la conosca la accoglie in casa avendola trovata inerte e pestata in strada) è quello che esiste tra autore e pubblico, lei racconta e lui ascolta, cercando di volta in volta interpretazioni, chiavi di lettura, paralleli e simbologie che si rivelano una più comica dell'altra, una più ridicola dell'altra. Il narratore si ostina a professare il proprio diritto a raccontare, il fruitore si ostina a leggere più di quello che ci sia.
Von Trier pare dunque rivendicare il suo diritto a fare il cinema che gli interessa in barba a come questo venga ricevuto, e quando Skarsgard fa notare alla sua narratrice come uno degli episodi appena raccontati sia abbastanza implausibile, lei risponde piccata: "Cosa preferisci? Seguire il filo del mio racconto per come lo faccio o smettere perchè non ti sembra plausibile?".
Ha insomma l'arroganza di un bambino che vuole affermare di essere nel giusto in una polemica incomprensibile, un po' fuori moda e nemmeno troppo adatta a lui (c'è margine per una frecciata anche sull'antisemitismo, l'altra polemica che l'ha riguardato recentemente) questo nuovo film di Von Trier che per il momento è molto meno ambizioso del solito e non eccessivamente riuscito.
Nonostante la comicità infatti in più di un momento si avverte la stanchezza e il girare un po' a vuoto della cronaca di eventi tenuti in piedi e resi fruibili solo dalla suddetta ironia, come fossero gag autoconclusive (appare così specialmente l'episodio molto riuscito con Uma Thurman).
In chiusura un minitrailer annuncia il vol. II, sbandierando altro sesso, violenza, esplosioni, grida, pianti e capovolgimenti come si trattasse di una serie tv.